Fino a quel terribile giorno del 4 Novembre del ’66, quasi tutti i toscani dell’epoca avevano intonato, più o meno volentieri perché canzone gigliata, il ritornello di “Firenze sogna”. Ma si sa che oltre ai sogni, nel mondo onirico, sovente si presentano gli incubi. Così, “sull’Arno d’argento dove si specchia il firmamento” improvvisamente apparve in quel giorno, un mostro oscuro, fatto di acqua, fango e quanto la furia di quella sorta di tsunami riusciva a strappare, non solo dagli argini violentati fin quasi dal Falterona.
I ricordi di chi, come noi eravamo presenti, sono rimasti indelebili, così come gli odori nauseabondi che le piene dei fiumi autografano le narici. Doveva essere un giorno di festa, quella delle Forze Armate che un tempo veniva a buon diritto celebrata, anche per la gioia degli studenti. Così come in altre festività, in tempo di boom economico, potevamo permetterci festicciole e pranzetti al ristorante, magari appena “fuori porta” come nel nostro caso che avevamo scelto, con amici e familiari, il desco del “Motel California”, modernissima struttura all’americana inaugurata pochi anni prima.
Al calduccio, con buon cibo e vino a gogò (l’etilometro era per fortuna fantascienza) facevamo poco caso alla pioggia battente che annichiliva i colori dei bei giardini esterni. Al momento del caffè, rigorosamente corretto (più tardi scoprimmo quanto ci avrebbe fatto bene) i camerieri ci invitarono a sbaraccare perché era giunta notizia che l’Arno stava per tracimare e che era molto, molto meglio rientrare al più presto alle proprie abitazioni. In verità, non si verificò nessuna scena di panico ma solo un’uscita composta verso i “cinquini” e le “600” che di li a poco ci avrebbero riportato al…. sicuro.
Noi ragazzi, abitanti nel quartiere di San Francesco, non resistendo alla curiosità (pagata poi con meritatissimi pattoni da parte dei preoccupatissimi genitori), ci avventurammo fino alle Palle di Ponte di Mezzo, giusto in tempo per vederci arrivare addosso a tutta velocità quel chiattone immenso trasportato da una massa d’acqua turbinante. Il colpo sul ponte, fu tremendo, spaccando anche alcune colonnine del parapetto dove, i militari della caserma Artale ed i Parà della Folgore stavano alacremente supportando pompieri, forze dell’ordine e volontari. Un colpo talmente forte da far scemare nel nostro gruppetto di amici “guardoni”, curiosità ed incoscienza.
Rientrati al secondo piano di casa, ci sentivamo più o meno sicuri, anche se l’acqua assai poco lentamente era giunta a lambire le finestre del primo piano, mentre la radio (le prime tv allora si guardavano nei bar del vicinato) ci ricopriva di notizie catastrofiche.
Fu una notte insonne, per tutti, anche per chi non riusciva a togliersi dalle mente o meglio dalle orecchie, quel boato terribile del chiattone che aveva fatto tremare e ferito il Ponte di Mezzo, distruggendo definitivamente il mito dell’Arno d’argento.
Foto: Palazzoblu.it
– – – – –
Perché la rubrica si chiama “Lo Scolmatore” – Quando il troppo è troppo è opportuno aprire le paratie dando libero sfogo all’acqua, per evitare che tracimi allagando tutto. Ogni riferimento al canale Scolmatore, che dall’Arno devia l’acqua verso il mare, è voluto. Un libero sfogo ragionato da cui si possono trarre spunti di riflessione interessanti.