Il ricco cartellone del Teatro Politeama di quest’anno ha presentato l’altra sera un’altra gemma del suo forziere con il monologo “Olivia Denaro”, superbamente interpretato da una coinvolgente e intensa Ambra Angiolini. L’interessante pièce, tratta dal fortunato libro di Viola Ardone, rievoca attraverso i ricordi del personaggio inventato di Olivia Denaro la vicenda reale di Franca Viola, la ragazza siciliana che nel 1965 rifiutò la paciata, ovvero il matrimonio riparatore con Filippo Melodia, epigono di una famiglia mafiosa. L’uomo l’aveva rapita e violentata con arrogante protervia confidando nell’articolo 544 del Codice Rocco del 1931 che prevedeva l’impunità per il violentatore di una ragazza nel caso questi proponesse un “matrimonio riparatore”.
D’altronde, come sentenzia sin dall’inizio il personaggio interpretato con grande maestria dall’Angiolini, “la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia”, aggiungendo “io ero più felice se nascevo maschio”. Continuando, poi, a disegnare nel racconto i limiti delle azioni di una donna in un ambiente in cui lei deve muoversi sempre dietro l’uomo, priva di libertà e autonomia.
Questo felice assolo, ben adattato drammaturgicamente dal regista Giorgio Gallione insieme all’attrice, è stato rappresentato entro l’efficace e colorata scenografia di Guido Forato che ha curato pure i costumi, mentre Paolo Silvestri si è occupato delle musiche incentrate su hits di Mina che hanno costituito un riuscito contrappunto alle azioni sceniche. Ne è risultato un quadro desolante ma realistico della condizione femminile all’epoca molto restrittiva in terra sicula e non solo.
I toni narrativi, inizialmente leggeri, crescono fino al drammatico climax finale in cui la “brocca rotta” rifiuta qualsiasi mediazione riparatrice l’atto di violenza esponendosi al pubblico ludibrio in nome della propria libertà e autonomia.
L’interpretazione della brava Ambra, ormai lontana dal ruolo di giovane e simpatica soubrettina con cui si era imposta al pubblico televisiva ma divenuta col tempo attrice di forte impatto e grande levatura, ha fatto leva su ottimi registri espressivi linguistici anche dialettali oltre che su una grande densità emotiva trascinante. Infatti, alla fine della veemente rappresentazione accolta da un tripudio di applausi, l’attrice si è commossa sfociando persino nel pianto e in una successiva, appropriata, orazione sull’attenzione da portare riguardo alla condizione femminile attuale confidando nei cambiamenti futuri di mantalità da parte delle giovani generazioni.
Questo spettacolo, al di là dei suoi indubbi meriti artistici, è risultato un ennesimo, emozionante attacco ad ataviche posizioni patriarcali tuttora pertinenti date le cifre di ricorrenti e crescenti femminicidi nel nostro contesto nazionale nonché le notizie di completa segregazione femminile in altri ambiti sociali extraterritoriali. Per questo è necessario riflettere su quanto sia necessario l’impegno di tutti per raggiungere la piena, completa, emancipazione femminile ovunque.
Guido Martinelli