La Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Firenze ha chiesto al gip l’archiviazione dell’inchiesta sul disastro della Moby Prince, il traghetto andato a fuoco il 10 aprile del 1991 dopo una collisione con la petroliera Agip Abruzzo davanti al porto di Livorno, che costò la vita a 140 persone. Lo ha reso riferito il procuratore di Livorno Maurizio Agnello all’inizio della sua audizione davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sulla strage del Moby Prince, che è seguita a quella del procuratore di Firenze Filippo Spiezia svoltasi in modalità segreta.
È una pagina triste per la giustizia in questo Paese, ma non è la prima volta che ci sono stragi impunite. “Sarà nostra cura far pervenire alla commissione la nostra richiesta di archiviazione – ha detto il procuratore Agnello – anche se si tratta di un’indagine ancora in divenire ma noi abbiamo l’obbligo di individuare possibili prove di colpevolezza per reati dolosi e non colposi, perché in quest’ultimo caso sarebbero tutti ormai prescritti a 34 anni dai fatti”.
“Nella poderosa informativa della Guardia di finanza – ha aggiunto il magistrato – sono stati analizzati i tanti, troppi punti rimasti oscuri nelle indagini e se ci dovessimo convincere che le condotte di qualcuno fossero state tra le cause di questo disastro non mancheremo di indicarlo al giudice per le indagini preliminari, tuttavia non potremo che arrenderci al fatto che siano passati ormai 34 anni”.
In un altro passaggio dell’audizione, Agnello rispondendo alle domande dei commissari, ha detto che “non è stata una scelta saggia quella di avvisare, nel corso della prima inchiesta, le indagini alla capitaneria di porto che era ovviamente coinvolta in quello che era accaduto nella rada del porto di Livorno, ma sarebbe stato maglio affidarle a qualche altro organo di polizia giudiziaria”.
L’Italia è il Paese delle commissioni parlamentari d’inchiesta, chiamate a fare luce laddove la magistratura fatica a farlo. Ci sono già state due Commissioni parlamentari d’inchiesta ma, nonostante i progressi fatti, ci sono ancora moltissimi lati oscuri su cui è bene continuare a indagare.
“«”Ascoltando Agnello – hanno affermato Luchino Chessa e Nicola Rossetti, presidenti delle due associazioni dei parenti delle vittime – ci è sembrato di essere tornati indietro al 1991. Le affermazioni di oggi sono particolarmente sconcertanti. Dopo 34 anni, Agnello è tornato a parlare di nebbia come possibile causa della collisione, di un traghetto troppo veloce che con una rotta lineare centra la petroliera ancorata in zona interdetta all’ancoraggio e con la prua a nord. Scenari oramai superati e che attribuiscono la responsabilità della più grave tragedia della navigazione mercantile italiana e la più grande strage sul lavoro alla condotta imprudente dell’equipaggio del traghetto”.
A proposito della nebbia, nelle conclusioni della prima Commissione d’inchiesta (approvata nel 2018) si legge che la tragedia non fu riconducibile alla presenza di nebbia e/o alla negligenza dell’equipaggio del traghetto. Inoltre la nebbia fu immotivatamente utilizzata come giustificazione del caos dei soccorsi coordinati dalla Capitaneria di porto allora comandata dall’ammiraglio Sergio Albanese.
Secondo la relazione della seconda Commissione, approvata il 15 settembre 2022, nel disastro sarebbe stata coinvolta una terza nave, che avrebbe ostacolato il percorso del Moby Prince, costringendolo ad una brusca ed imprevista virata e portandolo a colpire la petroliera.
Queste relazioni non sono frutto di chiacchiere da bar ma di indagini approfondite andate avanti per anni che meritano di essere rispettate.
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