In età più matura (o scaduta), circa quindici anni fa, ho scoperto la voglia di scrivere non solo per giornalismo, riuscendo a dare alle stampe racconti e romanzi. Non ci sono dubbi sul fatto che la letteratura italiana poteva continuare a vivere beatamente anche senza il mio contributo ma io, tetragono, forse spinto da un ego straripante e dalle cataste di libri letti in precedenza e dei cui contenuti volevo disfarmi catarticamente, ho insistito in maniera indefessa.
Ho avuto persino la fortuna d’imbattermi in editori che hanno accettato gratuitamente di destinare fogli di candida carta alle mie fantasie letterarie per diffonderli nel mondo. Intrepidi! L’ultimo è stato l’ardito editore Maurizio Felici per i cui “Tipi” è uscito da pochi mesi un mio libro di racconti “Scusate stasera si parla d’amore”: ventidue voci maschili e femminili che raccontano esperienze di amore e affetto di ogni tipo e di cui si è già parlato su queste colonne.
Ovvio che nel momento in cui hai in mano il prodotto del tuo lavoro intellettuale pensi subito a cercarne i potenziali lettori attraverso le “famose” presentazioni. Quindi vai alla ricerca del posto, del presentatore, dei lettori o delle lettrici dei brani, avvisi in tutti i modi possibili amici, parenti persino di infimo grado nonché conoscenti anche poco stretti e l’intero popolo dell’orbe terraqueo affinché acquistino il tuo libro.
Quando poi arrivi lì, nel luogo preposto alla presentazione e ti ritrovi a parlare della tua creatura cartacea davanti a decine di occhi molti dei quali non conosci, scatta l’opzione “rappresentante”. Ovvero, inizi a comportarti appunto come un rappresentante che vende un prodotto, e quindi parti subito scrutando gli utenti che hai davanti per comprendere quale tasto pigiare per convincerli all’acquisto. Tra le opzioni che il marketing ti offre sul piatto devi scegliere la modalità più idonea per quel determinato contesto in quella specie di partita a scacchi tra te e l’uditorio schierato di fronte.
Puntare sugli aspetti sociali senza dubbio insiti nel libro con tono colto e affettato, oppure su quelli più ironici facendo il brillante e lanciando battute nell’aere? Parlare tanto e a ruota libera per mostrarti socievole se non persino charmant o rispondere a monosillabi alle domande di chi ti presenta lasciando girare intorno a te un po’ di mistero? Darsi un’aria da eterno simpatico guascone, un po’ menefreghista ma affettuoso, o da intellettuale tormentato e preoccupato per le sorti del mondo?
Strategie che spesso lasciano il tempo che trovano dato che magari anche occhi a te ben familiari e pure apparentemente concordi con le tue argomentazioni si allontanano sorridenti ma a mani vuote (l’invidia è un venticello). Ma per fortuna ogni tanto accade qualcosa di diverso come pochi giorni fa in cui incontri persone che il libro lo avevano letto e volevano parlarne: situazione ottimale! Così l’uditorio non è più una specie di blanda controparte e il confronto scatta ad armi pari e tu puoi pure trarre spunto dalle osservazioni dei lettori per scoprire i lati chiari ed oscuri del tuo lavoro per correggerti in futuro.
Mi sono infatti ritrovato a parlare di questo ultimo figlio, presso la Casa Circondariale “Le Sughere” di Livorno grazie all’intervento dell’ottima, sensibile operatrice del Circolo LaAV (letture ad alta voce) livornese Maria Carla Rosano e alla brava coordinatrice del circolo di Livorno Serena Mancini, che lì vi conducono tutta una serie di attività culturali. Il reparto interessato era quello di lungo termine che in quella struttura sono, appunto, impegnati tutta la settimana in molteplici e stimolanti maniere.
I padroni di casa, una decina, avevano letto i ventidue racconti amorosi del testo e a loro dire pure gradendoli, per cui volevano saperne di più. Il racconto che aveva colpito di più quasi tutti parlava di un nonno, che tra l’altro è l’unico un po’ autobiografico in cui descrivo mio nonno Umberto, sia pur trasfigurandolo un po’ dato che seguo la corrente di pensiero che predilige il verosimile anziché quel vero, rigidamente autobiografico che ora spopola sui social dove l’egocentrismo la fa da padrone.
È stato la spunto per trovare somiglianze, far riemergere ricordi e spezzoni di vita e di sentimenti, scendere a riflessioni individuali affettive e sociali. Mi ha colpito e toccato il loro desiderio di vivere, di continuare a capire la vita anche se la loro si è fermata per un interminabile o infinito giro nel loro individuale gioco dell’oca esistenziale.
Si tratta di persone che stanno senza dubbio giustamente pagando il loro conto alla società per i loro sbagli ma che non vanno per questo dimenticate e abbandonate del tutto. Li ho trovati svegli, attenti, pronti a cogliere i cambiamenti di quel mondo che anche senza loro continua a girare con gioie e dolori, fatiche e soddisfazioni. Sicuramente aleggeranno intorno a loro ricordi e volti amici e nemici, immagini dolci e feroci, odori atavici e sensazioni variegate. Suppongo che i loro sogni non siano sempre tranquilli e i loro animi sovente agitati e dolenti.
Penso alle difficoltà di una vita coatta e irta di problematiche dato che il poco spazio reca tanti disagi. La pietas bussa alla mia porta con forza e m’induce a manifestare un moto di vicinanza e solidarietà anche se non vanno dimenticati i motivi a me ignoti, ma senza dubbio gravi, che li hanno condotti fin lì.
Di conseguenza non posso non concludere salutandoli con le parole del grande Mahatma Gandhi che parlando di tutti coloro che finiscono in carcere sosteneva che loro “Dovranno essere trattati come pazienti e le prigioni diventare degli ospedali riservati al trattamento e alla cura di questo particolare tipo di ammalati”.