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Let it be, grande successo dei Beatles, ha origini pisane. Ce lo spiega un prete, don Lido Batini

- Cultura, Interviste
16 Dicembre 2019

Guido Martinelli

Per quelli della mia generazione che hanno aperto gli occhi su questo pianeta nella seconda metà del novecento la musica pop ha innanzitutto un nome: i Beatles. Prima imperversava incontrastata la melodia figlia del melodramma ottocentesco ma arrivarono loro e si entrò nel nuovo secolo. Successivamente, seguendo la scia si affermarono altri validi gruppi pop- folk-rock e chi più ne ha più ne metta: belli, ottimi, emozionanti e coinvolgenti. Ma prima ci furono i fab four e solo loro. Questa semplice considerazione è tornata d’attualità, per me e i miei coevi, negli ultimi tempi grazie all’uscita di un bel film: Yesterday. In questa originale pellicola, diretta dal bravo regista inglese Danny Boyle, un giovane cantautore della provincia inglese non riesce a sfondare nonostante l’appoggio della sua amica manager. Una sera viene investito da un autobus durante un blackout globale dopo il quale il mondo, tranne lui che era rimasto incosciente in quel frangente, perde il ricordo dei Beatles oltre che della Coca Cola, degli Oasis e di Harry Potter. Jack, ristabilitosi, canta Yesterday agli amici e scopre che loro non hanno mai sentito parlare dei quattro di Liverpool. Il ragazzo, allora, prende a suonare le loro canzoni spacciandole per proprie e ottenendo così un successo mondiale.

Rivedere quel bel film e ascoltare nuovamente quelle stupende canzoni ha risvegliato ricordi, volti e storie. Una di queste risale al periodo giovanile in cui tentavo di dare calci al pallone con scarsi risultati coni colori giallo-rossi del G.S. “I Passi”, diretto da sempre con grande passione e competenza pedagogica dalla Famiglia Tognoni. Ovvero che la leggendaria “Let it be” è nata in provincia di Pisa come musica da organo per opera di don Lido Batini, fratello di un altro parroco, don Baldo, conosciuto sacerdote del Pisa ai tempi di Romeo e della serie A e parroco di Nodica per tanti anni.

Decido di saperne di più e così contatto Antonio Tognoni, e tramite suo fratello Marcello, presidente all’epoca del G.S nonché buon amico di Lido, vengo a sapere che il parroco musicista, ora in pensione e privo della vista, risiede a Migliarino. Grazie all’amica cantante Sonia Gambini, che vanta conoscenze parrocchiali in quel luogo, riesco ad entrare in possesso del suo numero di telefono che Antonio utilizza per ottenere un appuntamento con don Lido accettando gentilmente di accompagnarmi fin qui, in un bar lungo l’Aurelia, per iniziare le investigazioni sulla genesi del meraviglioso brano dei quattro scarafaggi.

Antonio Tognoni e don Lido Batini

Allora don Lido, si presenti e ci racconti un po’ di lei…
Sono nato il sette aprile del 1940 a Marciana di Cascina e sono diventato prete nel 1964. Fui subito nominato vicerettore al seminario di Pisa e nel gennaio 1969 ho iniziato la mia missione di parroco andando a fare il vice a Fornaci di Barga dove, tra le tante cose, sistemai un campo di calcio coi ragazzi del posto e m’iscrissi al corso allenatori di Coverciano da cui iniziò la mia carriera di allenatore federale. Ho allenato nel Csi poi in Prima e Seconda Categoria a Fornaci di Barga, Vicarello, Collesalvetti, vincendo diversi campionati, e più a lungo di tutti a Rosignano Solvay. Li potevo dedicare tanto tempo al calcio perché avevo una parrocchia piccola a Pieve di Santa Luce. Mi trovai bene a Rosignano perché il presidente della Solvay mi prese a ben volere e mi comprava i calciatori buoni. Partimmo dalla Prima Categoria e arrivammo fino in C2. Purtroppo allenai in quella prestigiosa categoria solo un anno perché il vescovo mi trasferì a Migliarino, anche se alla fine del campionato ci togliemmo la soddisfazione di arrivare quarti.

Invece l’amore per la musica come nacque e si sviluppò?
Io ho sempre amato la musica da autodidatta, anche se ero seguito dal maestro don Amedeo Salvini e sin dai tempi del ginnasio dirigevo il coro del seminario che allora era molto numeroso. Nel 1969 in più ero anche, insieme a Pizzi, maestro titolare e laico, organista al Duomo e in sua assenza, quando c’era bisogno suonavo io. Poi, il maestro Pizzi sparse in giro la voce che me la cavavo con le armonizzazioni così cominciarono a cercarmi per chiedermele. Ai tempi in cui ero parroco di Santa Luce nacque proprio “Ragazzo Vai“, l’antesignano di “Let it be”, che venne incisa dai “Cantori Moderni” di Alessandroni. In quel periodo lavorai anche con i “Califfi” e detti loro “Fogli di quaderno” che loro armonizzarono e cantarono. Rammento che sui primi 45 c’era scritto Batini Lido. Ce l’avevo quel disco come tanti che poi ho regalato e m’è rimasto solo un 33 giri dei Cantori che ho a casa mia, a Santa Luce.

Era iscritto alla Siae in quel periodo?
Certo, m’iscrissi subito perché in questo modo potevo pubblicamente cantare e avere persino dei rientri economici; anche ora, ogni tanto, arriva qualcosa dalla Siae, se da qualche parte ripropongono vecchie canzoni. A dirla tutta, però, ho sempre dato tutti quei proventi in beneficenza. A me piace stare tra la gente, l’ho fatto per tutta la mia vita, e aiutarla come potevo e posso fa parte della mia vocazione. Anche ora ospito una famiglia di stranieri a casa mia e ho trovato loro lavoro nei dintorni.

Tornando a “Ragazzo vai…”, la proto canzone dei Beatles, come nasce?
Dalla mia vocazione religiosa. I versi dicevano “Vai nel mondo e impara ad amare l’umanità”, un invito che, partendo da me stesso giovane che iniziavo il mio cammino ecclesiastico, volevo estendere agli altri ragazzi invitandoli ad andare nel mondo a diffondere messaggi di libertà, pace e amore per tutti. I versi della canzone poi dicevano anche: “Il nero e il bianco si guardano, hanno due occhi pieni di pianto, l’amore li asciugherà”. È tanto che non li ascolto anche se me la ricordo bene (li canta).

La canzone come finì in Inghilterra?
Andai a Roma chiamato da un responsabile di una casa discografica, la Hit Record, mi pare, che aveva ascoltato la canzone e mi chiese di lasciargli la libertà di farla incidere ad altri. Non mi ricordo ora il suo nome. Mi disse che siccome era il momento dell’Inghilterra lui aveva intenzione di mandarla lì. Io gli dissi: “Fai pure”, e per un anno e mezzo, due anni, mi arrivarono dei soldi da quel paese, poi più niente

Chi le disse che era diventata la hit dei Beatles?
Lui, il discografico, circa due anni dopo. Ne fui contento.

Cosa differenzia “Let it be” da “ Ragazzo vai..”?
Sono cambiati alcuni accordi. È stata mutata, spostata, una strofa in re minore, perché era tutto in fa maggiore, che non mi piace anche se non cambia molto l’intera canzone.

Quando ascolta “Let it be” le torna alla mente la sua canzone?
Certo. Cerco, però, di non ascoltarla perché ci piango: ci sono affezionato.

Le parole della canzone dei Beatles hanno qualche punto in comune con “Let it be”?
Di preciso non lo so perché non conosco l’inglese ma da quel che mi hanno detto un po’ di “pretume” c’è rimasto. Si sente anche nella musica.

Ora lei, Lido, è in pensione, vero?
Certo, da cinque anni non sono più il parroco di Migliarino. Ne ho fatte tante di cose nella mia vita. Sono stato anche professore di religione all’Iti di Pisa per tanti anni e mi è piaciuto molto perché, come ti dicevo, amo stare in mezzo ai ragazzi, alla gente, andare a pranzo, a cena in tanti, e l’alimentazione sregolata mi ha fregato perché così mi sono preso
il diabete che ha provocato la cecità. Ma sono contento ugualmente.

Lasciamo questa bella persona di don Lido Batini con la promessa di rivederci. Lui, infatti, ci ha invitati a Santa Luce dove si trova anche il citato 33 del Coro di Alessandroni in cui è presente la canzone del ragazzo invitato a andare per il mondo, che poi lui, il consiglio l’ha seguito e indossando la bombetta, l’ombrello e dicendo “Yes, of course”, è volato ovunque.

A casa, ormai incuriosito, proseguo in rete la mia ricerca. Trovo tracce della vita e della discografia infinita dei “Cantori Moderni” di Alessandroni che sono stati una evoluzione del “Quartetto Caravels”, dopo che Alessandroni si era staccato dalle formazioni di Nora Orlandi. I “Cantori” hanno inciso moltissimi dischi e preso parte a molti programmi televisivi dell’epoca. Alessandroni, da par suo, è stato un ottimo compositore, anche di numerose colonne sonore, direttore d’orchestra e polistrumentista, famoso pure per la sua abilità di fischiatore nelle colonne sonore di Ennio Moricone nei principali spaghetti western di Sergio Leone e nel famoso Trinità con Bud Spencer e Terence Hill.

Vado allora a ricercare le tracce di “Ragazzo vai..” e trovo un 45 giri, con il lato B dal titolo “Quando scende la sera”, suonato anche da Roberto Belmonte e l’Orchestra Monti. Gli autori accreditati del primo brano sono Leman-Pelleus.
Se si osserva, però, la copertina del disco si trovano tracce pisane perché vi è effigiato un ragazzo con la chitarra in spalla che, guarda caso, s’incammina verso il mondo accanto all’Acquedotto Mediceo che da Pisa porta ad Asciano.

Forse camminando camminando o con l’autostop è arrivato alla bianche scogliere di Dover e da lì alla stupenda London Beat dell’epoca. “Fogli di quaderno” dei Califfi, che ricordavo abbastanza bene perché il complesso che suonava la più nota e per me apprezzata “Così ti amo” mi piaceva, è facilmente rintracciabile per la sua antica notorietà, ma l’autore accreditato è R. Boldrini.

Decido, allora, di seguire le tracce del discografico che ha fatto partire il ragazzo verso la terra di Albione cliccando il nome della casa discografica seguendo l’indicazione vaga di don Lido. Dopo poco mi imbatto nella “Hit Beat Records” che è troppo recente, ma vagando al seguito di questi nomi m’imbatto in Franco De Gemini che nel 1969 gestiva la “Beat Records Company”, e chiedo ad Antonio di chiamare don Lido per farsi dire se sia questo il nome giusto del discografico che lo aveva contattato per avere il suo brano, ma lui gli risponde che potrebbe esserlo ma non se lo ricorda.

D’altronde, lui ha sempre gestito questo suo talento musicale in assoluto e completo disinteresse e sembro più interessato io alla storia della canzone che lui. Continuo a scavare peggio di Sherlock e scopro che Franco De Gemini è stato un personaggio assoluto della storia musicale italiana per tanti motivi. Soprannominato “Harmonica Man” acquisì notorietà per aver suonato con l’armonica solo tre note in “C’era una volta l’America”, ma collaborò nella sua lunga vita con tutti i principali autori della musica leggera italiana. Ha un punto di contatto con Alessandroni per aver preso parte anche lui ai principali spaghetti western, e ai tempi della nascita di “Let it be” era a capo di quella casa discografica (“Beat” però e non “Hit”) che potrebbe essere quella interessata. Purtroppo sia De Gemini che Alessandroni sono passati a miglior vita così non si potrà saperne di più.

Forse potremmo cercare di fermare Paul Mc Cartney quando nel luglio 2020 verrà a Lucca al “Summer festival” per farci raccontare come si sono svolti i fatti. Ammesso che se li ricordi.

Penso, a quel punto, ad un’altra mossa. Potrei, domani, andare a procurarmi un vinile con “Let it Be” e provare ad ascoltarlo al contrario. Se anziché udire la frase “Paul is dead”, come si favoleggia da secoli sostenendo che il vero Paul è deceduto e l’attuale è un sosia, udirò la frase “Forza magico Pisa”, allora non ci saranno dubbi. E apporrò la bandiera rossocrociata sulla copertina del cd. Anzi lo farò uguale. Perché si sa che le note girano come le api e si posano ora sopra un fiore ora sopra un altro e chi le afferra le fa sue. Quanti esempi di processi di plagio ci sono stati nel mondo. Ne rammento uno, in cui Al Bano dimostrò che una canzone di Michael Jackson era il plagio di un suo brano. E vinse la causa ottenendo un risarcimento.

Comunque il mio “grillo parlante” mi suggerisce sottovoce di smetterla di fare l’investigatore musicale perché “Let it be” rimane memorabile e degna di essere ascoltata sempre e indipendentemente da chi l’ha partorita e fatta crescere.
Perché la musica non ha campanili ed è di tutti, e senza di lei l’essere umano sarebbe più povero e solo, per cui concludo che don Lido ha fatto bene a darla via senza alcuna esitazione.

Viva i Beatles, comunque, ma che ora non venga fuori qualcuno affermando di aver scritto “Satisfaction” mentre andava all’asilo. Anche se…

 

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2 Commenti
    Daniela

    Leggete su wikipedia del Canone di Pachelbel, pare che Let it be derivi piuttosto da questo brano, fra l’altro riporto una frase che meglio spiega la questione: “Il Canone di Pachelbel rappresenta uno degli esempi più importanti di crossover in ambito musicale: a partire dagli anni settanta è infatti passato dall’essere un’opera poco conosciuta della musica barocca al diventare un elemento culturale universalmente noto.
    Il Canone è stato infatti oggetto di numerosi rifacimenti e adattamenti in chiave pop o rock: alcuni si rifacevano nell’orchestrazione e nel rispetto della partitura, al modello originale, altri invece hanno avuto il carattere talvolta di vera e propria sperimentazione musicale, con l’uso di strumenti prettamente usati per altri generi musicali, come ad esempio la chitarra elettrica” ……. e ancora…..”I seguenti brani sono esempi di incisioni che riadattano il Canone o che comunque ne riutilizzano la progressione di accordi:
    1944 Inno dell’Unione Sovietica Aleksandr Vasiljevič Aleksandrov Attuale Inno della Federazione Russa (la si trova nella seconda progressione della strofa, benché anche la prima simile)
    Do, Sol, Lam, Mim, Fa, Do, Re, Sol
    1968 Rain and Tears Aphrodite’s Child Sib, Fa, Solm, Rem, Mib, Sib, Do, Fa
    1968 O Lord, Why Lord? Los Pop Tops Re, La, Sim, Fa#m, Sol, Re, Sol, La
    1970 Let It Be The Beatles Do, Sol, Lam, Fa, Do, Sol, Fa, Do
    1971 Take Me Home, Country Roads John Denver”
    Un’ altra precisazione: Al Bano vinse la causa contro Michael Jackson con effetti solo sul mercato discografico italiano, ci fu in seguito un’altra sentenza che stabiliva che entrambe le canzoni mostrassero forte somiglianza con un brano del 1939 degli Ink Spoils “Bless you for being an angel”

    Davide Canazza

    Il sacerdote parla della pubblicazione del suo disco nel 1969 inoltrato. Let it be è stata incisa tra il 2 7 e 28 gennaio 1969, ma tracce della sua esecuzione in prova in studio partono dal 2 gennaio dello stesso anno. Inoltre lo scorso anno è stata pubblicata ufficialmente, all’interno della Deluxe Edition delWhite album, una versione demo di Let it be incisa dai Beatles ad agosto-settembre del 1968.
    Quindi è più probabile che siano stati i Beatles a influenzare don Lido Batini e non viceversa.

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