Diplomato al Conservatorio di Firenze e al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi, il pisano Francesco Filidei come organista e compositore è stato invitato dai più importanti festival di musica contemporanea. Hanno suonato la sua musica orchestre prestigiose di tutto il mondo (leggi la biografia). Da diciassette anni vive nella capitale francese. Sposato con Noriko Baba, giapponese (pure lei compositrice), ha un cane, Jiji.
Francesco risponde in modo schietto alle nostre domande, e non risparmia critiche alla sua città d’origine. Ma questo apparente distacco è in realtà un gesto d’amore. Perché i pisani sono così: pane al pane, vino al vino. E che nessuno si offenda troppo (nella foto in alto Filidei con il compositore Georges Aperghis).
Ci spieghi il tuo lavoro? Come l’hai scelto?
Scrivo musica strana. Ho scelto di scrivere questa musica per conquistare le donne, niente di meglio che la musica strana, specie con le pisane, successo garantito (forse).
Ma com’è la musica strana?
Allora, diciamo che la musica strana è una musica fatta non per essere ascoltata ma per ascoltare. Siamo coperti di musica in ogni dove, dai ristoranti al supermercato all’aeroporto, musica che serve a stordire, a occupare sempre una parte del cervello per impedirci di pensare. La musica che ho chiamato strana l’ho chiamata strana perché provoca l’ascolto, talvolta anche con modi aggressivi, ponendoti un problema. So che nella vita ce ne sono già tanti di problemi e non sembrerebbe il caso di aggiungerne, ma se si vuole vivere quel che possiamo vivere con il massimo dell’intensità, quella dell’ascolto è una strada percorribile.
Com’è fatta una tua giornata tipo di lavoro?
Dipende, se sono in casa ci pensa Jiji, il mio carlino di tre anni a svegliarmi, ascolto Radio Tre, facciamo colazione, poi la porto a spasso (o meglio mi porta a spasso lei, visto come tira al guinzaglio) fino al Marche d’Aligre, uno dei più vivaci mercati di Parigi. Poi rispondo alle email e comincio a lavorare. L’atto compositivo di per sé non dura molto quando va bene, una decina di minuti di concentrazione bastano per poi lavorarci sopra il resto della giornata limando, aggiustando, orchestrando. In linea di massima l’orchestrazione la faccio direttamente al computer e durante i lavori più meccanici di copiatura ascolto processi. Mi fanno impazzire i processi, tanto che ci ho scritto sopra un’opera su un processo, quello a Giordano Bruno.
E quali altri processi ti riguardi su internet?
I miei processi più cliccati, in quanto nato negli anni Settanta sono, oltre all’immarcescibile processo a Pacciani,quello alle Brigate Rosse per l’omicidio di Aldo Moro e quello di Piazza la Loggia. Quando sono in viaggio per concerti, festival, conferenze o seminari, se in albergo non c’è internet impazzisco.
Che esperienze di lavoro hai fatto prima di fare il compositore?
L’unica è stata cercare di vendere i Topolino al mare, in campeggio. Facevo anche delle collanine con le perline di vetro ma non vendevano allo stesso modo. Alla fine del campeggio usai tutti i soldi guadagnati per comprare una torta ed un pupazzetto da regalare a mia cugina per il suo compleanno. Oggi, con tutto l’affetto che rimane per cugine, zii e fratelli, me li sarei probabilmente tenuti.
Se non avessi fatto questo mestiere, cosa ti sarebbe piaciuto fare?
Stando alle premesse avrei dovuto fare il camionista, ma all’epoca, non esistendo ancora le veline in televisione, il mio più grande desiderio era fare il pompiere come Grisù, il draghetto verde che spegneva incendi. Oppure il cameraman, anche perché la parola suonava esotica. Poi qualcosa è andato storto, volevo giocare a pallone ma al doposcuola per il calcetto dovevi offrire in sacrificio a quelli della IV C un tot di figurine Panini a partita, quindi mi capitava raramente.
Così hai abbandonato l’idea di fare il calciatore…
In realtà del mio sogno di giocare nella Freccia Azzurra i miei fecero frantumi pensando bene di spedirmi, al contrario, da una vecchietta, al fine di coronare il sogno di mia madre: farmi suonare “Le petit montagnard” del compositore Francesco Paolo Frontini, un tormentone estivo (ed anche invernale, suppongo) che aveva fatto furore negli anni Trenta. Poi le cose sono andate degenerando ed ecco il risultato.
Qual è il primo ricordo che hai di Pisa di quando eri bambino?
La grandine all’asilo dei Passi.
Da quanto tempo vivi lontano?
Vivo lontano (ma non troppo grazie ai low cost) da 17 anni. Sono stato due anni a Madrid, due in Germania, uno a Roma (Villa Medici, quindi Francia, via). Frequenti puntate in Giappone per concerti e suoceri, Stati Uniti il meno possibile, Islanda quando possibile.
Quanto ti manca la città?
Mi mancava di più durante i primi anni, perché sono nato e ho vissuto sempre a Pisa prima di partire definitivamente. Il lavoro che scrissi su Franco Serantini (NN), eseguito anche al Teatro Verdi per i Concerti della Normale una decina di anni fa, mi ha aiutato a superare questo distacco, ma il rapporto con Pisa è sempre stato controverso.
Cosa intendi dire?
Se fossi nato in Germania, in qualsiasi pur minuscola città, ci sarebbe un dialogo continuo con le istituzioni, che qui invece non esiste. Non mi si chieda di cercarlo a me, questo dialogo. Nei posti dei quali vado parlando non è compito dell’artista, è compito del politico. Perché ne parlo allora? Ok non ne parlo più.
Cosa ti manca di più di Pisa?
La cecina con la spuma bionda (anche quella al cedro va bene).
La tua famiglia vive a Pisa?
Ho genitori e zii vari distribuiti fra Pisa e le zone limitrofe. Il pisano medio la casa a pisa l’affitta agli studenti (anche se non è il caso dei miei).
La tua professione ti ha permesso di conoscere bene l’Europa, e non solo. Che immagine si ha dell’Italia all’estero?
Non so se conosco bene l’Europa, di certo loro non conoscono bene l’Italia, che resta più o meno spaghetti-pizza- mandolino (da qualche decennio ormai spaghetti-pizza-mandolino e Berlusconi). In Giappone c’è un tizio che si chiama Girolamo Panzetta che spopola alla televisione, quella è l’immagine che hanno di noi, da Avellino con furore…
Cosa ne pensi dei cosiddetti “cervelli in fuga”, di cui spesso si è parlato negli ultimi anni?
Il mio cervello era già fuggito prima di partire.
Ti piace il calcio?
Sì. L’ho detto prima, Mi piaceva soprattutto il Pisa di Romeo Anconetani, che andavo a vedere a domeniche alterne con mio zio (le altre domeniche guardavo Colombo con mia zia). Lui abitava, fra l’altro, in via Eugenio Chiesa, dietro allo Stadio, dall’altra parte della strada la gente stava in terrazzo a guardarsi le partite gratis.
C’è un giocatore del passato che ti è rimasto nel cuore?
Il mio calciatore preferito era Klaus Berggreen.
La prima partita che ha visto o quella a cui più sei rimasto affezionato?
Pisa-Reggiana 0-0, 13/6/1982 Quando il Pisa passò in Serie A. Mi ricordo che con mio zio aspettammo che il casino si calmasse per scendere sul prato dell’Arena Garibaldi. Momento magico.
Come te la cavi in cucina?
Ho una moglie troppo brava per poter anche solo dire che io me la cavi…
Il tuo piatto preferito?
Mozzarella con patate fritte. Ma non dirlo a Noriko!
Facciamo un gioco. Tra un certo numero di anni vieni eletto sindaco di Pisa. La prima cosa che faresti qual è?
Farei di tutto per riaprire il Teatro Rossi e getterei in Arno quell’orrore di scultura che infestava prima la Cittadella ed ora l’aeroporto. Preferisco non pronunciarmi su quel che hanno fatto di Piazza Vittorio Emanuele.