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Alino Diamanti, il gitano del gol

- Sport
7 Settembre 2020

Paolo Lazzari

Se nasci a Prato, il 2 maggio 1983, poi non è semplice immaginare una vita in giro per il mondo. Due occhi come bottoni celesti, cascata di riccioli biondi ed eccoti sul tipico campetto di periferia: tiri i primi calci per il Coiano Santa Lucia, sotto lo sguardo compiaciuto del grande Rodolfo Becheri, un’istituzione per il calcio giovanile toscano. Da lì, per dire, è passata gente del calibro di Paolo Rossi e Bobo Vieri. Per un fortunato allineamento cosmico si dà il caso che Becheri sia anche tuo nonno: una botta di fortuna, perché con la sua esperienza capisce subito tutto quanto.
Diamanti junior è un anarchico in campo: basta osservare le sue movenze. Un assemblaggio intricato di finte, tocchi rapidi, oscillazioni che mimano un tango gitano, forse perché è questo lo spirito di cui è intriso il suo sangue.

Il Prato lo prenderebbe al volo, ma nonno dice di no: “Aspettate, c’è un tempo per ogni cosa”. Così Alessandro – per tutti “Alino” – cresce in attesa della sua occasione, che arriva puntuale a soli 14 anni: nel giugno 1997 la squadra della sua città riesce finalmente a metterlo sotto contratto e la sua vita calcistica inizia davvero. Certo, per molto tempo viene mandato in giro per farsi le ossa, ma quando torna alla base si prende il palcoscenico con gli interessi. Stagione 2006-07, Prato affossato nelle paludi della C2 e lui che si piazza dietro le punte: saranno 15 gol ed una valanga di assist irreali. Ingiocabile per questa categoria, al punto di fare subito un triplo salto mortale: se lo accaparra il Livorno, serie A. Al Picchi quell’anno hanno dovuto salutare il capitano di mille battaglie, Cristiano Lucarelli. Serve un altro leader carismatico? Niente paura, è arrivato Alino.

La società però vive un anno allo sbando e la squadra si inabissa, chiudendo ultima. Diamanti riesce tuttavia a rifulgere classe: la città se ne innamora, ma lui deve fare nuovamente le valigie. Destinazione Londra, sponda West Ham: lì lo attende un manager che potrebbe tranquillamente dargli del “tu” per il modo di concepire il calcio: Gianfranco Zola. Il matrimonio è delizioso: il popolo degli Hammers lo idolatra e lui incide il doppio martello sul cuore. Ad Upton Park la stagione della squadra è da dimenticare, ma Ale disegna comunque 8 reti in 29 gare. “Amo Londra – dirà successivamente – ed ho ancora una casa lì, ma è troppo caotica per me”. Il ragazzino sul campetto polveroso di Prato, in fondo, non se n’è mai andato.

Così, un altro giro di giostra in Italia: Brescia, Bologna, Fiorentina, Atalanta, Palermo e Perugia: un tour condito anche da un romantico ritorno a Livorno. In mezzo due parentesi opposte: Cina e Inghilterra, di nuovo, ma stavolta al Watford. Ovunque, il suo timbro: quello di una mezzapunta infuocata, un sinistro da play station ed uno spirito indomabile. Forse è per questo che non ha mai giocato per una big? Forse: ma Alino da Prato, il suo scudetto, l’ha già vinto con il calore di tutti i volti sui quali ha dipinto un sorriso.

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