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A British man in Toscana: tra Puccini, il Regno Unito e i social, la vita fuori dagli schemi di Andrea Colombini

- Interviste, Tempo libero
27 Gennaio 2021

Paolo Lazzari

Per raccontare una vita, a volte, non basterebbe un libro di oltre trecento pagine. Se poi quell’esistenza assume connotazioni eccezionali, sarebbe il caso di accomodarsi direttamente in biblioteca. Cosa succede se metti insieme interessi differenti ed incendiari e provi a dare una mescolata potente? Probabilmente il risultato sarà un uomo che ha appena varcato i cinquanta, prova un sentimento quasi chimico per la Gran Bretagna, è ambasciatore di Giacomo Puccini nel mondo e, ultimo squillo di una quotidianità appassionata, si è recentemente scoperto anche un eccezionale comunicatore ed influencer. Siete sempre agganciati? Rimanete a bordo: la città è Lucca. Il nome Andrea Colombini. Se oggi provate a cercalo su Fb, troverete la scritta “Popolare in questo momento” aggiunta come una mano di vernice fresca dal colosso di Menlo Park.

Colombini, partiamo dalla fine: i suoi profili sui social sono letteralmente esplosi negli ultimi mesi. Le interazioni sono ormai milioni. Ha creato un basamento imponente: un’enorme community che la segue. Ci dice come ha fatto a diventare un moderno influencer?
Vedi – confessa accogliendomi nel suo salotto rigorosamente britannico, interi battaglioni di soldatini di piombo che ti scrutano, la poltrone rivestite in tema Tartan – è molto semplice: ho deciso di parlare alla gente in modo chiaro, nel bel mezzo di un periodo complesso per tutti. Credo di essere l’unico personaggio pubblico in Italia ad aver preso apertamente posizione a favore di Donald Trump. Non trovo che si tratti di un soggetto demoniaco, anzi. Non sono mai stato pro Trump, ma dopo quello che è successo negli ultimi 7 mesi ho avvertito il dovere morale di fare la mia parte. Non sopporto il pur minimo sospetto che la democrazia possa essere messa in dubbio: ho chiesto chiarezza e verità ed è quello che moltissima gente voleva.

È vero che è stato contattato direttamente da membri dell’amministrazione Trump?
Confermo. Qualche giorno fa ho ricevuto una telefonata che mi ha fatto sussultare. Era uno degli avvocati del presidente in Italia: mi ha detto che l’eco delle mie dirette quotidiane è arrivato fino a loro e mi ha ringraziato. Forse – specifica – questa mia battaglia nasce anche dal fatto che non ho mai sopportato i partiti democratici: avete fatto caso che esistono in tutti i Paesi del mondo? L’opposizione di centrodestra, invece, è sempre rappresentata da forze totalmente diverse tra loro, anche nominalmente. Invoco una riflessione su questo tema.

Però lei è diventato un personaggio pubblico sui social ancora prima, giusto?
Vero: è iniziato tutto nel novembre del 2020, quando ho pubblicato un breve video che mostrava i negozi aperti a Lucca anche dopo le 18. È stato seguito da oltre 1 milione di persone e da lì è partito tutto. Credo che il modo in cui esprimo le mie idee, estremamente radicale, abbia attirato una grandissima porzione di consensi e, ovviamente, altrettante critiche. In queste settimane sono stato definito come un negazionista, un complottista ed un no vax. Nulla di più falso: io non nego la pandemia, ma sostengo che si tratti della più grande farsa che si sia mai vista nell’arco dell’ultimo secolo, per come ci viene comunicata.

 

Una presa di posizione che ha attirato anche numerose e inevitabili critiche: perché parla di farsa?
Prendiamo il tema delle persone decedute: la differenza tra i morti ‘per Covid’ e ‘con Covid’ per me è cruciale. Ho grandissimo rispetto per chi non c’è più, ma non si può continuare ad evitare di avere rispetto per la gente che muore di fame perché ha perso tutto. Oggi alle persone – penso alle parole del senatore Mario Monti – viene suggerito di chiudere perché è più conveniente. Le imprese falliscono, i ristoratori chiudono, la cultura è azzerata, la crisi economica evidente”.

Ecco: lei è presidente di una manifestazione, il Puccini e la sua Lucca International Festival, divenuta ormai quasi maggiorenne. Parliamo di un’istituzione nella città del Maestro e nel mondo, ma come fate a resistere?
Da parte mia c’è sempre stato il grande orgoglio di aver creato una struttura come questa dal niente, a Lucca, a fronte della strenua opposizione di tutte le strutture pubbliche e para-pubbliche locali. Nessuno voleva che Puccini fosse patrimonio di Lucca, dove era nato: per scelta della Regione e delle amministrazioni del Pd che si sono avvicendate, piuttosto, il binomio doveva essere solo con la Versilia. Oggi vedo tutto questo messo a repentaglio? Sì, ma è anche vero che questa situazione sollecita tutte le mie più grandi virtù. Conoscete il Così fan tutte di Mozart? Nei momenti più terribili – cita a memoria – sua virtù l’eroe palesa. Nel mio piccolo posso definirmi un eroe. Sarò un nano, ma giganti intorno a me – come diceva Andreotti – non ne vedo”.

Lei è direttore d’orchestra (ne ha anche formata una, l’Orchestra Filarmonica di Lucca) ed un imprenditore culturale affermato: sta dicendo che è davvero possibile ripensarsi per scansare la crisi?
Siamo stati costretti a rivedere le nostre convinzioni, ma non ci siamo mai fermati. Puccini è il compositore più eseguito nel mondo e siamo fieri di aver attirato a Lucca, prima del Covid, un pubblico per il 98% straniero nella misura di oltre 50mila unità all’anno. Abbiamo fatto anche di più: con i nostri concerti abbiamo esportato questo binomio al Musikverein di Vienna, a Londra, Siviglia, Amsterdam, in Francia ed in molti altri prestigiosi contesti. Parlando fluentemente cinque lingue ed essendo un personaggio riconosciuto a livello globale sono spesso ospite di programmi internazionali: Sky Arts e Sky Uk mi contattano per parlare di Puccini. Pensi – fa tintinnare il ghiaccio nel Gin Tonic home made – che sono il secondo direttore d’orchestra più visualizzato su You Tube in Italia: parliamo di 431 concerti in 28 anni di carriera. Il primo è Riccardo Muti. Oggi il Festival propone concerti in streaming, con il supporto di sponsor privati e fondazioni: non è facile, ma teniamo duro”.

Come è nata questa passione totalizzante per la musica?
Le arie di Giacomo Puccini sono state ben presenti nella mia famiglia fin dalla mia più tenera età. È sempre stato un rapporto viscerale che mi ha portato a diventare organizzatore di concerti già dal 1991: a 23anni il Maestro non era ancora il mio obiettivo di vita, ci sono arrivato dopo, quando mi sono chiesto perché nella sua città natale non c’era nessuna manifestazione dedicata a lui. È vero, c’era il festival di Torre del Lago, ma ha sempre proposto poche date: noi invece siamo attivi tutto l’anno e tra l’altro non abbiamo un euro di contributi pubblici. Chi mi ha influenzato maggiormente? Senz’altro il grande Herbert Von Karajan: di recente la Fondazione a lui dedicata ha voluto intervistarmi e, quando ho incontrato sua figlia, mi ha detto una cosa che mi ha commosso: “Hai gli stessi occhi di mio padre”. A Lucca, inoltre, ho portato anche ad esibirsi i reggimenti britannici più importanti, a partire dalle Scots Guards, con oltre 90 tour in Italia”.

Ecco, agganciamoci all’altra grande passione che definisce la sua vita: la Gran Bretagna .
A dodici anni parlavo già perfettamente inglese e mi muovevo con familiarità per le strade londinesi. Come per le storie d’amore, non esiste una spiegazione razionale: si tratta di un fatto chimico. Sapete la classica domanda che si rivolge ai bambini? Cosa vuoi fare da grande? Io risposi, di fronte agli occhi sgranati dei miei genitori, che volevo fare il direttore d’orchestra e che volevo che le Guardie Reali lavorassero per me: posso dire di aver mantenuto la parola. Oggi vorrei creare nella mia città il museo dei soldatini di piombo legati ai reggimenti britannici: sarebbe una cosa epocale (parliamo di oltre 17mila pezzi, ndr), anche perché sono membro di due importanti club a Londra e intrattengo rapporti diplomatici con la Casa Reale, ambienti che apprezzano quando la loro cultura viene esportata. Oggi sono considerato un ambasciatore della Gran Bretagna in Italia e questo mi onora particolarmente: la Scozia e l’Inghilterra sono le mie zone d’adozione. Non sopporto il viaggiatore seriale, amo andare nei posti che per me rappresentano casa. Oggi – conclude – mi sento a mio agio a fare l’italiano che gioca così bene a fare il britannico al punto che, quando mi trovo nel Regno, chi ancora non mi conosce crede sempre che io sia un concittadino”.

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