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Rigenerare le periferie e ricostruire lo spazio pubblico. Ne parliamo con la professoressa Flora

- Cultura, Interviste
22 Marzo 2021

Guido Martinelli

Che il caso guidi i nostri destini e sia il dittatore incontrastato del nostro cammino non è solo l’idea, magari truffaldina, di qualche cartomante da strapazzo in cerca di adepti, ma persino di studiosi come un biologo e filosofo francese, idolo passeggero di alcune mie curiosità giovanili gnoseologiche. Parlo di Jacques Monod, un evoluzionista che sosteneva, nel suo noto “Il caso e la necessità” del 1970, come ogni creazione e novità della biosfera sia dominata proprio dal caso. Questo importante autore è riemerso da qualche cassetto della memoria allorché, poche settimane fa, ho scoperto per caso che quest’anno la Scuola Superiore di Primo Grado “Vincenzo Galilei”, dove mi guadagno la pagnotta insegnando lettere (e cartoline), annovera tra le sue fila una docente di valore. Ad essere sinceri non sarebbe una novità assoluta, dato che ognuno degli altri insegnanti che animano questa scuola ha titoli culturali ed esperienza didattica tali da permettermi di non essere privo di ispirazione e suggerimenti ricorrendo a loro in tanti frangenti, ma la collega di Arte Valbona Flora si è distinta perché ha ottenuto un importante riconoscimento che ha colpito la mia curiosità. La sua tesi di ricerca sulla ricostruzione dello spazio pubblico nella rigenerazione delle periferie marginali è stata premiata dall’Istituto Nazionale dell’Urbanistica e da Inu edizioni con il Premio “Inu Letteratura Urbanistica 2020” che pubblicherà il lavoro. Colgo l’occasione per scambiare con lei alcune opinioni sugli spazi urbani pisani.

Professoressa Flora, come da prassi si presenti ai nostri lettori…
“Certamente. Sono nata a Tirana, mi sono diplomata al Liceo Scientifico “F.Buonarroti” di Pisa per trasferirmi successivamente alla Facoltà di Architettura di Firenze, dove ho ottenuto la laurea e subito dopo ho collaborato, come borsista, al Dipartimento fiorentino di Architettura/Urbanistica (DIDA)/ Centro internazionale interuniversitario di Scienze del Territorio e svolto anche il ruolo di assistente presso il corso di Laboratorio di Urbanistica. Ho conseguito, quindi, il dottorato di ricerca in Pianificazione urbana territoriale del paesaggio all’Università Sapienza di Roma e concluso una ricerca internazionale promossa dalle Nazioni Unite, volta alla definizione di linee guida per la valorizzazione del patrimonio culturale dei centri minori dell’Albania”.

Mi pare un curriculum di tutto rispetto che le permette di avere interessi ben precisi nel campo dell’urbanistica.
“Abbastanza. Ad essere precisi nutro un particolare interesse per le tematiche legate alla rigenerazione delle periferie e alla progettazione dello spazio pubblico mediante azioni collettive volte a valorizzare il patrimonio culturale. Oggi ci misuriamo con una periferia molto più articolata nelle forme spaziali e nei contenuti e nella quale c’è una forte domanda di qualità della vita, considerata un valore sostanziale da promuovere e spesso in antitesi con le condizioni attuali di numerosi contesti periferici. Le periferie, anche se generalmente risultano luoghi deficitari, sono tuttavia “la grande scommessa” per l’urbanistica contemporanea. Sono spesso delle isole di degrado che dovrebbero evolversi e rigenerarsi in componenti significative delle città. Personalmente ho sempre sostenuto che una delle risposte a tale rigenerazione risieda nella capacità di ricostruire lo spazio pubblico ripensandone il ruolo e la natura. Lo spazio pubblico costituisce il luogo per eccellenza delle relazioni sociali, economiche e culturali, divenendo un incubatore di processi comunicativi e di messa in atto di azioni collettive partecipative a servizio dei quartieri”.

Si è allontanata da Pisa nel 2006 e dopo alcuni anni è tornata a vivere la città come cittadina. Nota dei cambiamenti nella nostra città?
“La vita della città contemporanea sembra marcata un po’ ovunque da una tendenziale rarefazione della socialità e dell’interazione, funzioni che appaiono sempre più residuali e secondarie. Molto spesso percorro a piedi le periferie di Pisa, attraverso gli spazi pubblici che generalmente sono ben pianificati ma che purtroppo non invogliano le persone a soffermarsi perché di qualità scadente. Questa caratteristica si rileva anche negli spazi del centro storico, dove nel corso degli anni c’è stato un evidente degrado che condiziona notevolmente la qualità della vita dei cittadini. Mi viene in mente, ad esempio, la piazza medioevale delle Vettovaglie, uno spazio di notevole bellezza divenuto generatore di tensioni. Anche gli spazi urbani dei quartieri periferici di Pisanova/Cisanello o del quartiere CEP sembrano un insieme episodico di frammenti tra loro collegati, caratterizzati da una minore intensità degli usi, da una minore riconoscibilità e da una forza evocativa più debole rispetto allo spazio pubblico tipico della città storica. Purtroppo in questi quartieri viene a mancare lo spazio pubblico capace di creare un senso di comunità e benessere che pone le condizioni di un anomalo isolamento sociale divenuto un simbolo emblematico nella nostra città”.

Come pensa si possano restituire ai cittadini gli spazi della città?
“Occorre una forte attività creativa per centrare obiettivi che non mirino semplicemente ad una riqualificazione spaziale ma anche a costruire comportamenti sociali che conferiscano allo spazio urbano la qualità dell’urbanità e contestualmente permettano di intervenire nella lotta all’esclusione ed alla marginalità. Una efficace strategia in grado di agire concretamente sulla questione degli spazi pubblici degradati sono le “tattiche” Lower Quicker Cheaper e il Temporary Urbanism. Si tratta di interventi dal carattere spontaneo, immediato, e basati su azioni concrete che non prevedono una progettualità lunga ma l’uso temporaneo degli spazi promosso dai cittadini stessi. Tali azioni “tattiche” sono strettamente legate ad un’idea solidaristica della convivenza urbana, ad un senso di condivisione della comunità con la realtà sociale nella quale vive. È evidente che l’auto-rivitalizzazione degli spazi come metodologia operativa è uno strumento altamente potente perché mette il cittadino al centro della propria azione caratterizzata da spontaneismo civico, condivisione di obiettivi di cittadinanza e di realizzazione efficace e controllata, coinvolgimento fisico ed emotivo. Tutti elementi che concorrono ad incentivare l’appartenenza ai luoghi pubblici e di conseguenza anche la loro cura”.

Quale tipologia di azioni “tattiche” attiverebbe per rivitalizzare gli spazi pubblici delle periferie di Pisa?
“Nel caso della città di Pisa bisognerebbe sostenere con forza l’attivazione di “micro-progetti” a basso costo e realizzati a breve termine. Nelle periferie le operazioni di ricostruzione dello spazio pubblico devono coinvolgere gli abitanti stessi a tutte le età in grado di promuovere interventi artistici, culturali, creativi in genere, sportivi, fino a pratiche agricole poco impegnative che possono generare altri processi a cascata”.

E per Piazza delle Vettovaglie cosa suggerisce?
“Data la sua preziosa bellezza la Piazza può diventare uno spazio multifunzionale nelle vesti di un laboratorio momentaneo con la funzione di veicolare l’arte e la cultura. Ovvero un luogo dedicato ad esposizioni di opere d’arte, utile per promuovere eventi, talvolta organizzati dai cittadini stessi, favorenti una socialità mirata e utile. Potrebbe diventare anche uno spazio di riferimento per gli sport leggeri, o persino una pista da ballo per attività coreutiche o uno spazio scenico per momenti musicali e teatrali. Piazza delle Vettovaglie vanta un raro privilegio perché oltre ad essere un simbolo della storia medievale della città è indubbiamente uno spazio che gli abitanti conoscono, praticano e rivendicano. L’insediamento di queste attività potrebbe diventare uno strumento per garantire e promuovere la qualità, l’accessibilità e l’utilizzo, eliminando l’attuale degrado”.

Questi ottimi suggerimenti della mia collega forse permetterebbero di far ritornare la Piazza agli antichi splendori, dato che in passato questo luogo storico per la vita cittadina è stato numerose volte uno stupendo palcoscenico naturale per diverse tipologie di intrattenimento. Mi domando, subito dopo, se tali proposte culturali non gioverebbero anche a risolvere le annose problematiche legate all’ordine pubblico di quello e di altri luoghi del centro, infestati da anni da episodi di microcriminalità legati soprattutto allo spaccio di sostanze stupefacenti. La sicurezza rimane un obiettivo per far sì che sia la nostra sia tutte le altre città del nostro magnifico paese rifulgano di bellezza e di vita, ma resta l’amletico dubbio se per arrivare a questo risultato occorra adottare misure repressivo-poliziesche, attivare processi creativo-partecipativi o entrambe le cose. Solo una prassi attenta e mirata può apportare chiarimenti definitivi al riguardo.

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