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Commisso, oltre la rabbia c’è di più

- Sport
15 Maggio 2021

Luca Bocci

Tanto tuonò che piovve. Che il vulcanico presidente della Fiorentina Rocco Commisso avesse qualche sassolino da levarsi dalle scarpe si sapeva, ma ben pochi immaginavano che la prima conferenza stampa dopo mesi di silenzio si sarebbe trasformata in un one man show che ha fatto il giro del mondo in poche ore. Se a far notizia sono stati soprattutto i battibecchi con alcuni giornalisti e le accuse fin troppo chiare di “fake news” lanciate nei confronti del gruppo guidato da Urbano Cairo, nell’ora e mezza di venerdì l’imprenditore italo-americano ha toccato molti altri temi, alcuni dei quali molto più interessanti delle polemiche spicciole sulla stampa.

A giudicare dalla reazione sui social media e di alcuni media, evidentemente toccati nel vivo, che hanno parlato di “spettacolo imbarazzante”, di “spacconate”, di roba che non si sarebbe vista neanche nella Longobarda dell’Allenatore nel Pallone cinematografico, tutti si sono buttati sulla polemica facile invece di analizzare meglio quel che il patron viola ha detto tra una sfuriata e l’altra. Fa impressione certo sentire parlare un presidente di una società di calcio di “cartellini rossi” da comminare ad esponenti dei media ma tutti coloro che hanno avuto la sventura di operare nel poco salubre ambiente del calcio italiano sanno bene che pratiche del genere sono all’ordine del giorno ovunque. Un mio ex collega fu costretto ad emigrare all’estero dopo esser stato dichiarato persona non grata a Formello per una opinione espressa sulle scelte della dirigenza della Lazio. Si potrebbe scrivere a lungo sul rapporto che certi uffici stampa hanno coi media, sui ricatti, le intimidazioni e le varie prepotenze da loro perpetrate nei confronti di siti piccoli e grandi ma preferiamo concentrarci sugli aspetti più concreti e, in fondo, condivisibili, della sfuriata di Commisso.

Se è fin troppo facile ironizzare sui toni e le liti con la lingua italiana del patron viola, oppure levare alti lai sulla morte del giornalismo tradizionale e l’inarrestabile crescita dei “giornalisti tifosi”, spesso estensione non ufficiale della società stessa, analizzare le dichiarazioni più sensate e concrete certamente è più complicato. C’è chi pensa che la tempesta mediatica scatenata dall’imprenditore italo-americano sia stata orchestrata per distogliere l’attenzione da una stagione disgraziata e dalle molte scelte discutibili della sua dirigenza. Altri pensano che alzare i toni all’improvviso serva solo per attutire il colpo di possibili cessioni di alcuni big che arriveranno a stretto giro di posta, a partire dall’idolo del Franchi Dusan Vlahovic, che potrebbe esser diretto alla corte di Re Zlatan in caso di qualificazione alla Champions. Alcuni invece sospettano che tutto sia stato preparato per far passare inosservata l’inversione ad U sulla questione dello stadio Franchi, altri invece dicono che le lodi tessute nei confronti di Iachini servirebbero per preparare il campo all’arrivo di un allenatore “non big” che potrebbe far indispettire la tifoseria viola. Le ipotesi, insomma, si sprecano.

Eppure, a ben guardare, nella lunga conferenza stampa ci sono diverse frasi che meriterebbero maggiore attenzione e che dovrebbero far rabbrividire chiunque abbia a cuore le sorti del calcio italiano. Molti hanno considerato solo una sparata quella sulla volontà dell’imprenditore di voler vendere la società viola, parole dal sen fuggite nell’eccitazione del momento. Certo, la stoccata lanciata a chi, a Firenze e altrove, non fa altro che criticare le scelte della proprietà senza sognare di metter mai mano al portafoglio è quasi sicuramente estemporanea, ma le ragioni alle spalle sono fin troppo concrete. L’amarezza di Commisso è evidente e, in fondo, condivisibile. Quando dice che mai si sarebbe aspettato di dover spendere così tanto per avere risultati così deludenti, l’imprenditore va preso sul serio. Perdere 38 milioni di euro in pochi mesi non è uno scherzo, anche per chi ha un patrimonio stimato in circa 9 miliardi di dollari. Non si diventa così ricchi ignorando parti della propria azienda che perdano così tanti soldi. Il conto della spesa fa tremare i polsi: 170 milioni ai Della Valle, 80 milioni per ripianare i debiti della società viola più gli 85 milioni di investimenti nel nuovo centro sportivo, ai quali naturalmente vanno aggiunte varie decine di milioni per evitare di sforare i limiti di bilancio imposti dalla FIGC per l’iscrizione al campionato. Aggiungete l’impatto della pandemia e l’azzeramento dei ricavi dallo stadio e viene da domandarsi perché mai il magnate di Mediacom non dovrebbe fuggire a gambe levate da Firenze e dal mefitico mondo del calcio italiano.

Quando Commisso dice che avrebbe potuto comprare qualunque società di calcio o qualunque franchigia di football, basket, baseball o hockey non fa che dire una cosa ovvia. Se la logica fosse stata quella di diversificare gli asset della propria società, l’ultima cosa da fare sarebbe stata quella di mettersi in un ginepraio come quello del calcio italiano. Commisso, però, voleva tornare in Italia e togliersi qualche soddisfazione, dopo una vita di sacrifici e duro lavoro. Una volta fallito l’acquisto prestigioso e sicuramente più interessante dal punto di vista finanziario, quello di una società blasonata e famosa in tutto il mondo come il Milan, ripiegare su un club meno vendibile al di fuori dei confini nazionali come la Fiorentina fu una scelta dovuta più all’orgoglio che al tanto declamato amore per la città di Firenze. L’ottimo management del suo gruppo, presente anche quest’anno nella classifica delle società meglio gestite negli Stati Uniti, cercò un modo per rientrare dal grosso investimento appena effettuato, trovando come unica soluzione quella di dotare la Fiorentina di uno stadio moderno di proprietà, conditio sine qua non per riuscire a fare il salto di categoria. E qui, come si suol dire dalle nostre parti, casca l’asino. In Toscana chi tocca la gestione delle costruzioni, pietra angolare del sistema di potere, muore e nemmeno i soldi di Commisso lo hanno messo al riparo dal fuoco incrociato dei signori del mattone, come successe ai Della Valle prima di lui. Quando anche un progetto molto meno promettente come quello del Viola Park ha rischiato di perdersi nella selva di schermaglie burocratiche e battaglie legali, nella mente dell’imprenditore l’idea di mollare tutto e salvare il salvabile deve essersi fatta strada con insistenza.

A mancare, invece, sono le ragioni per tener duro e continuare in quella che sembra sempre più una lotta contro i mulini a vento. Quando Commisso dice che nessuno lo ha ringraziato per i pesanti investimenti fatti nella Fiorentina, non fa che puntare i riflettori su quello che è uno degli aspetti più tossici del mondo del calcio alle nostre latitudini. Chiunque si azzardi ad entrare nel mondo del pallone viene inevitabilmente considerato poco più di una mucca da mungere per foraggiare il fin troppo ampio sottobosco di chi campa con la passione dei tifosi. La logica è sempre quella di chi considera “dozzinali” i discorsi che riguardano le finanze delle società di calcio, come se dovesse sempre esserci un riccone disposto a spendere e spandere per comprare ai tifosi campioni ed allenatori strapagati, senza mai preoccuparsi delle perdite. Quando Commisso ammette di aver sbagliato ad ascoltare la piazza quando licenziò Beppe Iachini dopo poche giornate di campionato, non fa che rimarcare come la logica sia lontana mille miglia dal calcio nostrano. I tifosi sanno bene che quando un allenatore viene allontanato dalla panchina continua a percepire lo stipendio fino alla fine del contratto, ma preferiscono ignorare questo dettaglio. Tanto c’è sempre il riccone idiota a pagare, no? Quando Commisso dice che “deve seguire più il suo istinto”, non sta parlando di allenatori o giocatori, ma di quella voce insistente nella sua testa che lo sta convincendo a mollare questa gabbia di matti chiamata Serie A.

Al momento, l’unica ragione che fa rimanere Commisso a Firenze è il suo orgoglio, la volontà ferrea di non voler ammettere di aver preso una costosissima topica, ma, alla lunga, anche il cocciuto imprenditore dovrà alzare bandiera bianca. Il segnale è già stato dato. Le possibilità che una cordata di imprenditori locali riesca a racimolare i soldi necessari per l’acquisto della Fiorentina sono vicine allo zero ma probabilmente il patron di Mediacom ha già dato mandato a qualche advisor oltreoceano. Nonostante l’entusiasmo che i fondi di investimento USA hanno dimostrato per il calcio negli ultimi tempi, non sarà certo facile trovare qualcuno disposto a puntare cifre consistenti in quella che sembra sempre più una roulette come la Serie A. Vedremo come andrà a finire ma certo ci dispiacerà veder andar via una persona capace, onesta e genuina come Rocco Commisso. In un calcio sempre più popolato da traffichini, millantatori e sanguisughe, la sua schiettezza ci mancherà parecchio.

 

Foto e video: Acf Fiorentina (Facebook)

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