– Luca Bocci –
Sembra ieri, ma è già passato un mese dall’inizio della cosiddetta “inchiesta KEU” che ha scoperchiato il poco edificante sottobosco legato allo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti dal comprensorio del cuoio e, a quanto pare, scaricato nei terreni attorno alla famigerata strada 429, ora conosciuta come la strada dei veleni. Almeno in questa zona del Valdarno, la storia rimane di strettissima attualità, sia per il comprensibile timore di consumare acqua o alimenti contaminati che per la consapevolezza di essere rappresentati da politici disposti a mettere la salute dei propri elettori in secondo piano rispetto al finanziamento delle proprie campagne elettorali. Certo, la prospettiva di avere una terra dei fuochi dalle nostre parti certo fa paura, ma per chi ha avuto la sventura di seguire la politica toscana negli ultimi decenni viene quasi da domandarsi cosa renda questa storia così particolare. Non passa giorno che non ci siano nuove prese di posizioni da parte di associazioni, partiti, politici vecchi e nuovi che sembrano davvero averne per tutti. Solo oggi abbiamo letto dalla manifestazione annunciata per il prossimo 29 maggio a Santa Croce sull’Arno e dell’uscita tranchant dell’associazione Libera che spara a zero contro il sistema partitico che avrebbe tradito la fiducia degli elettori mettendo a rischio la salute di tutti. Dopo il ritrovamento di sospette sabbie nere nel sovrappasso di Brusciana, gli abitanti ed i comitati locali attendono con trepidazione i risultati delle analisi dell’Arpat. Il sospetto è che il famigerato granulato sinterizzato prodotto dall’impianto Ecoespanso di Santa Croce, il cosiddetto “keu”, invece di venir miscelato con vari prodotti per renderlo inerte, sia stato usato direttamente come materiale per riempire il terrapieno. In quel caso il rischio di contaminazione delle falde acquifere da metalli pesanti sarebbe reale. Ogni giorno un nuovo capitolo. Questa sembra, insomma, una storia che non ne vuole proprio sapere di morire. Eppure, a guardar bene, non è che l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia abbia detto cose che non si sapessero da anni.
In questo caso sembra che ad essere infiltrate fossero le aziende che si sono aggiudicate il contratto per lo smaltimento delle 7000 tonnellate di keu per poi scaricarlo direttamente nelle costruzioni, invece di procedere ad ulteriori e costose lavorazioni. Basta un’occhiata ai media locali per rendersi conto di come siano costanti gli allarmi sull’infiltrazione delle varie mafie nell’economia toscana, specialmente nel settore delle costruzioni, ideale per riciclare il fiume di denaro proveniente dalle attività illegali. Per non parlare poi dei problemi relativi allo smaltimento degli scarti delle lavorazioni dei pellami del comprensorio del cuoio, oggetto della discordia che spunta in ogni polemica legata alle discariche in mezza Toscana. Qualcuno poi davvero può dirsi sorpreso che questa inchiesta abbia confermato come il sistema politico toscano sia fondamentalmente malato, ossessionato dalla ricerca di contributi con i quali far sopravvivere le proprie strutture di partito e sempre disponibile ad “aggiustare” leggi e regolamenti per dare una mano ai propri munifici sostenitori? Dove starebbe la novità? Forse per il fatto che le popolazioni coinvolte non abbiano mai dovuto convivere con una discarica vicina? Provate a chiedere agli abitanti di molti paesi vicini alle tante discariche sparse nella campagna toscana cosa ne pensano di questa polemica. La battaglia degli abitanti di Chianni (Pisa) contro la discarica della Grillaia procede senza soluzione di continuità fin dalla sua discussa apertura nel 1990. Molti ricordano come nel 1996 i camion pieni di fanghi delle concerie furono bloccati dall’intera popolazione, creando file lunghe chilometri. Nonostante la chiusura dell’impianto, ad intervalli regolari c’è chi prova a riaprirlo per smaltire altre migliaia di tonnellate di rifiuti speciali. Che sia amianto o altri materiali pericolosi poco importa. Il loro smaltimento genera montagne di soldi – e quelli fanno gola a tutti. Trenta anni dopo le polemiche continuano.
Il problema dello smaltimento dei rifiuti pericolosi non va in letargo quando non riempie le prime pagine dei giornali, quello rimane sempre vivo e vegeto, senza che nessuno se ne preoccupi più di tanto. Fino a quando a soffrirne le conseguenze sono gli abitanti vicini alle varie discariche, nessuno alza un sopracciglio. Quando invece colpisce gente “normale”, magari in zone più densamente abitate, apriti cielo. La logica è sempre la stessa, quella che spinge ai margini i pochi che si azzardino a proporre soluzioni serie a questo nodo gordiano: se non succede vicino a casa mia, non mi interessa. Il fenomeno non è nuovo, tanto da guadagnarsi un acronimo, NIMBY, ovvero Not In My Back Yard, non nel mio giardino. I comitati locali possono anche declinarlo come “Non sulla mia pelle”, ma la logica è la stessa, quella che fa salire tutti sulle barricate quando si cerca di proporre soluzioni alternative alla discarica. Dalle nostre parti si è usi glorificare quel che succede oltralpe ma solo quando serve a portare avanti i propri interessi. Il fatto che grandi città spesso citate come paragoni di civiltà come Copenhagen o Francoforte abbiano termovalorizzatori grandi e praticamente in centro è del tutto ignorato. Forse che le ciminiere fanno venire l’orticaria? O magari è il fatto che per costruire e gestire un impianto fatto a regola d’arte serva gente davvero preparata?
Molto più semplice comprare un terreno, magari poco adatto allo scopo, cambiare due righe nel regolamento e contare i soldi ogni volta che un camion si presenta per scaricare rifiuti, no? Vuoi mettere quanto è più semplice infilare un raccomandato in una discarica, magari il figlio di un “capobastone” che controlla un bel pacchetto di preferenze? Impianti complessi come i termovalorizzatori hanno bisogno di tecnici specializzati, non di amici degli amici. So bene che di questi tempi va molto poco di moda, ma la realtà ha il brutto vizio di non piegarsi ai deliri ideologici di chicchessia. I discorsi stanno a zero. Per conciare le pelli ci vogliono prodotti chimici che contengono fior di metalli pesanti. Puoi trovare modi per ridurne l’uso, spacciandoli per “green”, ma una conceria non sarà mai veramente pulita. Decine se non centinaia di migliaia di famiglie campano con queste lavorazioni. Se domani il comprensorio del cuoio sparisse, sarebbe un’apocalisse economica e sociale per tutto il Basso Valdarno.
Il problema rimane anche quando non se ne parla, ma nessuno sembra interessato a ricercare una soluzione definitiva. Molto più semplice trovare un campo o un cavalcavia dove interrarli – e molto più economico. La vera pietra dello scandalo è proprio questa – il costo delle soluzioni vere, quelle supportate da studi scientifici a prova di bomba. Trattare i metalli pesanti non è mai semplice, ma si può fare, anche se ci sono sempre controindicazioni. Certo che se ogni volta che qualcuno sente parlare, ad esempio, di termovalorizzatori, si monta sulle barricate, risulta impossibile anche iniziare un dialogo. L’ossessiva ricerca della sicurezza assoluta, alla fine, non fa che rendere più probabili scorciatoie illegali come quelle proposte dalle varie mafie. Anche qui si potrebbe passare ore a sdilinquirsi in discorsi roboanti ma la realtà lascia poco spazio a voli pindarici. Per un imprenditore lo smaltimento dei rifiuti è sempre un costo, spesso molto pesante, che rende difficile competere con paesi in via di sviluppo molto meno attenti alle questioni ambientali.
Se i tuoi competitor sono in Cina, dove apparentemente basta davvero poco per “risolvere” qualunque genere di problema ambientale, chiunque proponga soluzioni in grado di abbattere i costi è visto come il salvatore della patria. In un momento storico come questo, dove ogni centesimo in più rischia di costare milioni in forniture perse, la questione per molti imprenditori è davvero di vita o di morte. La cosa che fa quasi sorridere è la pretesa che ad occuparsi di questioni estremamente complicate come queste siano chiamati i politici locali, gli stessi che non fanno che scaricare il barile sempre più a valle quando devono affrontare problemi impopolari. Visto che tutti sembrano tapparsi le orecchie e gridare ogni volta che qualcuno si azzarda a proporre soluzioni “di sistema”, quali sarebbero le alternative?
Per come la vediamo noi, quando i benefici coinvolgono un ristretto numero di persone mentre i disagi si spalmano su ampie fasce della popolazione, la politica non può fare da arbitro. L’unico modo di rimuovere la corruzione dalla politica non è certo quello di inventarsi nuovi, sempre più cervellotici codici etici o riesumare quel finanziamento pubblico che è stato fonte di enormi storture negli scorsi decenni ma semplicemente di rimuovere la politica dall’equazione. Non solo dal settore dei rifiuti speciali, ma dall’intero settore della gestione dei rifiuti. Basta fare una rapida ricerca per rendersi conto di come le politiche portate avanti nei decenni scorsi siano state un costosissimo fallimento. La raccolta differenziata, sulla quale si è investito fior di miliardi, genera montagne di vetro e plastica e altro materiale. Tutto davvero utile e riutilizzato? Nonostante le severissime norme che vietano assolutamente il conferimento in discarica dell’indifferenziato, molte città si sono inventati nuove definizioni per continuare ad alimentare le fin troppe discariche che costellano il nostro territorio. Le stesse aziende che gestiscono la raccolta sono a volte gestite malissimo, con ampio spazio al clientelismo e alla malversazione, che ovviamente si scarica direttamente sulle bollette per i cittadini. Il fatto che operino in regime di monopolio rende poi impossibile cercare soluzioni alternative. Qualche anno fa un coraggioso imprenditore piemontese provò a mettere in piedi un’azienda che prometteva di pagare ai cittadini contanti per alcune plastiche e per materiali come l’alluminio. Fu fatto chiudere in pochi mesi. La torta dei rifiuti è troppo grossa per ammettere anche la minima concorrenza. Chi tocca muore – spesso letteralmente.
Che la politica si limiti a fissare le regole dello smaltimento dei rifiuti, discutendole magari con le imprese che se ne dovranno occupare e con le categorie produttive. Difficile che, nonostante le roboanti promesse dell’industria “green”, molto più interessata ai contributi pubblici che al benessere dell’ambiente, i rifiuti diventino una vera risorsa. A noi, francamente, basterebbe che finissero di essere un problema irrisolvibile che lascia spazio ai metodi delle varie mafie, che certo sono molto più dannosi per la salute di noi tutti. Ogni anno la gestione dei rifiuti in Toscana costa ai cittadini oltre 750 milioni di Euro, tutti nelle mani di aziende gestite in parte o completamente dal pubblico. Ai cittadini, in caso di disservizi o aumenti delle tariffe, non resta niente da fare che protestare contro il vento. Passare ad una gestione privata, in regime di concorrenza vera, con poche regole chiare e ben definite, riconsegnerebbe al cittadino il potere di poter cambiare gestore se le cose non andassero bene. I vantaggi, come si è visto nel settore della telefonia mobile o dei trasporti ad alta velocità, sarebbero enormi. Dai disservizi eterni del passato, nel giro di pochi decenni, l’Italia è arrivata a vette di eccellenza a livello mondiale. Difficile trovare paesi dove un gigabyte di dati mobili o un biglietto ad alta velocità costino meno. Sarà mai una soluzione percorribile? Ne dubitiamo fortemente, visto che a perderci sarebbero solo i politici maneggioni e le orde di clientes che si riempiono le tasche con il loro aiuto. Certo è che fino a quando i cittadini, ogni qual volta che un problema minaccia il loro piccolo rettangolo di sole, chiederanno a gran voce sempre più intervento pubblico passi in avanti non se ne faranno.
Il debito pubblico che ha posto un’enorme ipoteca sul futuro dei nostri figli è stato generato proprio dai disastri dello “stato imprenditore”. Lo Stato si limiti a controllare il rispetto delle regole, senza renderle ridicolmente cervellotiche. Preferiremmo essere noi a scegliere a chi affidarci per i vari servizi di cui abbiamo bisogno. Tutto qui.