– Luca Bocci –
Dire che il rapporto dei toscani con la Strada di Grande Comunicazione Firenze-Pisa-Livorno è conflittuale rischia di essere l’understatement del secolo. Quella che era stata pensata come arteria principale della conurbazione del Valdarno, il cuore industriale ed economico per la Toscana, si è trasformata rapidamente in un vero e proprio incubo per chiunque sia costretto ad usarla. Per le popolazioni del Valdarno, quella che era stata spacciata come la panacea di tutti i mali del traffico di un’area diventata suo malgrado una metropoli lunga un centinaio di chilometri si è rapidamente rivelata come una infinita fonte di grattacapi e mal di testa. Il fatto che si siano formate numerose e animatissime comunità Facebook tra chi è suo malgrado costretto ad usarla e che si definiscano come “dannati della FI-PI-LI” non dovrebbe sorprendere nessuno. Imboccare la superstrada è spesso come giocare alla ruota della sfortuna: se il tuo numero esce, ti troverai bloccato in colonna per ore ed ore, costringendoti a rimandare appuntamenti, incontri o, nei peggiori casi, addirittura cancellare tutto e tornare a casa con la coda tra le gambe. Se per gli utenti occasionali questi sono solo episodi fastidiosi, scocciature in grado di rovinarti la giornata, per chi è costretto ad usarla si tratta di un calvario quotidiano che può rovinarti la vita.
L’inchiesta di Maria Cristina Carratù sulla Repubblica di Firenze è uno spaccato rivelatore del livello di rabbia e frustrazione dei tanti trasportatori che ogni giorno smadonnano bloccati in fila dietro uno dei tanti cantieri che costellano fin quasi dall’inaugurazione la cosiddetta superstrada, che a dire il vero di super ha sempre avuto ben poco. La storia di Marco Prisco, autotrasportatore di Figline costretto ogni giorno a recarsi all’hub di Montelupo per ritirare i pacchi da consegnare nella sua zona, è emblematica. Per percorrere le poche decine di chilometri che separano le due cittadine ci mette sempre più di un’ora, invece dei venti minuti in condizioni “normali”, bloccato in file ben più lunghe dei tre chilometri indicati dal display della società di gestione. I molti frequentatori abituali della FI-PI-LI non risparmiano l’ironia, dicendo che in realtà il display è stato dipinto, visto che non mostra mai la lunghezza effettiva delle code. Per chi come lui è costretto a percorrere quel tratto tre volte al giorno, il rischio di un travaso di bile aumenta a dismisura. I clienti della ditta per la quale lavora, un corriere di rilevanza nazionale, avevano pagato un supplemento per ricevere i loro pacchi ad ore specifiche, ma anche stavolta dovranno aspettare, non per colpa di Marco ma per i perenni disservizi della superstrada. La rabbia sale, fino a superare il limite di guardia quando oltre ai cantieri ci si mettono i numerosissimi incidenti o le deviazioni obbligatorie che bloccano completamente la viabilità ordinaria. Marco sorride quando gli si consiglia di prendere altre strade. Alternative non ce ne sono, la superstrada è l’unica scelta ragionevole, nonostante i disservizi e gli eterni lavori.
Il fatto che le ore passate in fila costino fior di soldi alle aziende del Valdarno importa a pochi. I pendolari non hanno altra scelta, oltre che “dannati” sono anche “forzati”. E la rabbia sale e sale… Le file, poi, non sono il peggiore dei problemi della FI-PI-LI. Un incidente ogni 40 ore, si dice, spesso molto più frequentemente. Fondo stradale inadeguato nonostante i milioni e milioni spesi dalla regione Toscana ogni singolo anno, disservizi e problemi che si moltiplicano anno dopo anno, senza che nessuno riesca ad immaginare una soluzione definitiva. I nove milioni all’anno spesi dalla Città Metropolitana di Firenze per la gestione e la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’arteria non bastano mai e gli incidenti si moltiplicano. Il crollo del cartello dello scorso inverno fece notizia ma non è né il primo né l’ultimo incidente successo sulla “strada dei dannati”, diventata col tempo un pozzo senza fine avido di fondi pubblici. Difficile tener conto di quanti soldi delle nostre tasse siano stati inghiottiti dagli infiniti cantieri che si affannano a mantenere l’arteria sopra il limite minimo della decenza.
Una cosa è certa: nessuno di questi interventi risolverà la questione di base della FI-PI-LI, il fatto che sia un’opera pensata male, costruita peggio e gestita in maniera disastrosa. Questa arteria, pensata negli anni Sessanta e progettata basandosi su volumi di traffico lontani anni luce da quelli odierni, è stata una risposta contraddittoria e inadeguata ad un problema che col tempo aveva assunto dimensioni da emergenza assoluta, ovvero la congestione del traffico sulla viabilità ordinaria nel Valdarno. Sorvoliamo sulle polemiche e gli scandali legati alla faticosissima genesi della SGC: nei 34 anni che ci sono voluti dall’inizio dei lavori del primo tratto tra Montelupo ed Empoli fino al completamento della bretella fino al porto di Livorno, le inchieste e le condanne per irregolarità, malversazioni e corruzione pura e semplice si sono moltiplicate. Il fatto che nel 2002 l’ANAS abbia ben pensato di scaricare la gestione della superstrada alla Regione Toscana dovrebbe essere testimonianza evidente delle montagne di grattacapi che la pecora nera delle strade toscane può causare a chiunque. Di pochi giorni fa la notizia che l’assessore alle infrastrutture Stefano Baccelli ha intenzione di destinare altri quattro milioni e 185.000 Euro alla riparazione dei danni causati dalla frana a Ginestra Fiorentina dello scorso gennaio, quella che ha reso ancora più insostenibili i disagi causati dall’eterno cantiere fino a Montelupo, oggetto di facili ironie da parte dei “forzati”.
Nella sua lunga e travagliata storia quella che naturalmente sarebbe dovuta diventare l’arteria principale della viabilità toscana non è mai stata in grado di rispondere alle speranze delle genti del Valdarno, che per anni l’hanno sognata. Le mancanze del progetto originale, che non aveva mai previsto la corsia d’emergenza, lo spartitraffico centrale o corsie di dimensioni normali, si sono rivelate una vera e propria iattura. Il fondo stradale originario, pensato per un traffico molto inferiore a quello attuale, è stato faticosamente sostituito ma, nonostante i forti investimenti, il numero di incidenti è molto superiore a quello di altre arterie simili. Mancando le corsie d’emergenza e troppo poche sono le piazzole di sosta, basta un auto in panne a causare ingorghi epici che mandano in tilt l’intera viabilità della zona interessata. Il traffico pesante diretto all’Interporto di Guasticce o al porto di Livorno ha reso la situazione ancora più complicata, causando innumerevoli ritardi e rallentamenti. Eppure, nonostante sia
fondamentalmente un’opera totalmente inadeguata, alternative a lungo termine non ce ne sono.
Ho sulle spalle abbastanza giri attorno al sole per ricordare come stessero le cose nel Valdarno prima dell’apertura della “superstrada”, come potessero volerci ore per andare da Pontedera a Pisa, come la Tosco Romagnola fosse spesso un’unica, interminabile fila da Pisa a Firenze. Per cercare di evitarla i miei genitori erano soliti andare ad Altopascio per prendere la Firenze Mare, allungando il tragitto di decine e decine di chilometri. Oltre ai disagi, le conseguenze per l’economia locale erano molto pesanti, tanto da spingere parecchie aziende a preferire il trasporto via rotaia, l’unico in grado di garantire tempi di consegna ragionevoli.
Tornare indietro è impossibile, le conseguenze sarebbero devastanti ma davvero dobbiamo essere costretti a sopportare gli infiniti disagi e pagare fior di tasse per mantenere in vita un’infrastruttura fondamentalmente inadeguata? Soluzioni semplici, purtroppo, non ce ne sono ma un’alternativa alla gestione attuale, che continua a pensare solo all’immediato, passando da emergenza ad emergenza senza mai prendere seriamente in considerazione interventi strutturali che riescano ad affrontare e risolvere una volta per tutte le problematiche di base, non ha un futuro. Se non fosse che lo stato delle strade a pagamento si sta deteriorando anno dopo anno, verrebbe quasi da rivalutare quei politici che, qualche lustro fa, proponevano la trasformazione della strada della discordia in un’autostrada. Fa un poco ridere che qualcuno pensasse di mettere un pedaggio per quella che, già nel 2000, non venne considerata strada di interesse nazionale proprio perché troppo stretta, costruita male e priva di quel minimo di dotazioni di sicurezza che caratterizzano un’autostrada ma tant’è. Visto che la gestione è passata alla Regione Toscana sarebbe possibile pensare ad un salto in avanti, qualcosa di simile al bollino che Svizzera, Austria e molti altri paesi vendono a chi voglia usare le loro, splendide autostrade.
Non sarebbe semplice, ma se il ricavato di questa tariffa dovesse servire a finanziare la costruzione di una strada finalmente adeguata alle esigenze del traffico di oggi e di domani, potrebbe anche valerne la pena. Se poi questo progetto fosse affidato completamente a privati, ancora meglio. Senza bisogno di andare in Cina, dove i diktat del partito fanno realizzare opere gigantesche in tempi da record, il costo della costruzione di un singolo chilometro di autostrada all’estero è infinitamente inferiore a quello che dobbiamo sopportare in Italia. Ci vorrebbe un intervento legislativo straordinario forse impossibile nella fittissima giungla di leggi, leggine e regolamenti che ci perseguita da decenni e una dose di coraggio politico non comune, ma sarebbe una battaglia degna di essere combattuta.
Quante sono le probabilità che questo progetto si trasformi in realtà? Pochissime, quasi nulle, almeno a giudicare dall’infinita incompetenza e partigianeria dimostrate ad ogni occasione dalla classe politica nostrana, ma non nulle. Magari la prossima volta che vi troverete bloccati sulla “strada dei dannati”, ripensate a questa proposta strampalata. Sognare, almeno per il momento, non costa niente – e sicuramente aiuta a non rovinarsi il fegato maledicendo tutto e tutti.