– Roberto Riviello –
Sabato 19 febbraio. Mancano solo pochi minuti alle dieci, e un gruppetto di persone si sono radunate sotto la gradinata della imponente facciata di Santa Maria del Carmine, nell’antico quartiere di San Frediano a Firenze. Siamo in attesa di poter ammirare la Cappella Brancacci, che attualmente apre soltanto per le visite guidate perché sono stati collocati dei ponteggi su due livelli per procedere al suo probabile restauro. Ma se da un lato i ponteggi impediscono la visione d’insieme della Cappella, dall’altro permettono di fare un’esperienza visiva davvero incredibile: avere gli affreschi di Masolino, Masaccio e Filippino Lippi alla distanza di poco più di un metro, e soprattutto in una prospettiva orizzontale e non più dal basso verso l’alto.
Alle dieci precise la nostra guida ci apre il portone laterale e ci fa entrare nel chiostro del convento, dove racconta la storia dei primi frati che nel 1268 fondarono la chiesa della Beata Vergine del Carmelo, la cui costruzione continuò fino al 1475 grazie ai contributi delle più facoltose famiglie fiorentine; e poi ci porta su per una scala metallica al secondo livello dei ponteggi.
Subito, come se fossero lì per accoglierci, ci appaiono quelle che forse sono le immagini più celebri di tutto il ciclo pittorico: alla nostra destra La tentazione di Adamo ed Eva dipinta da Masolino; e a sinistra La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre di Masaccio. Le avevo già viste in passato, e più di una volta; ma ora che mi trovo alla loro stessa altezza e sono così vicine che le potrei toccare, provo un’emozione diversa, una specie di euforia, perché quei corpi ignudi sembrano vivi. Soprattutto le figure così realisticamente dipinte dal genio innovatore di Masaccio, con Adamo che si copre il volto ed Eva che manda un grido di dolore, non sono solo immagini bibliche, ma rappresentano un uomo e una donna fatti di carne e ossa, comuni esseri umani, fragili e quindi nostri contemporanei.
Cammino sul ponteggio come incantato, tiro fuori il telefono e fotografo, come del resto fanno tutti gli altri visitatori. Mi sembra di stare facendo un viaggio indietro nel tempo: nella Firenze rinascimentale, dove sono ambientate le storie di San Pietro. Si vedono le antiche mura cittadine, le architetture dell’epoca e soprattutto i personaggi, vestiti come vestivano la gente del popolo e i signori di Firenze. I miracoli di San Pietro – questo volevano probabilmente significare gli autori del ciclo pittorico – non sono avvenuti nel passato e basta, ma si rinnovano continuamente nella storia e nel presente. Così, al secondo livello, vediamo Il tributo (Masaccio) e La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita (Masolino); e quando scendiamo al primo livello troviamo La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra (Masaccio e Filippino Lippi) e San Pietro risana con l’ombra (Masaccio). Il ciclo si conclude con San Pietro visitato in carcere da San Paolo e con La crocifissione del Santo, dipinto a testa in giù, entrambi di Filippino Lippi.
Terminata la visita, ritorniamo nel chiostro: la sensazione è quella di aver visto un film muto, ma con immagini, colori e volti di una potenza espressiva straordinaria. Salire sui ponteggi e guardare gli affreschi da vicino ci ha fatto “entrare” in quelle scene, e non solo come spettatori. È stata un’esperienza coinvolgente, indimenticabile, una vera e propria “full immersion” in quei capolavori dell’arte rinascimentale.
Roberto Riviello