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Carlo VIII e la lezione di Machiavelli

- Cultura
13 Aprile 2022

Roberto Riviello

Nella Galleria d’Arte Moderna in Palazzo Pitti è presente una grande tela di Giuseppe Bezzuoli, dipinta nel 1829 su commissione del Granduca di Toscana Leopoldo II, che illustra un momento cruciale della storia di Firenze: l’ingresso in città del re di Francia Carlo VIII alla testa del suo potente esercito. Carlo VIII, infatti, scese in Italia nell’autunno del 1494 con l’intento di conquistare il Regno di Napoli ed entrò a Firenze il 17 novembre, visto che Piero de’ Medici, figlio del Magnifico, non ebbe il coraggio e soprattutto un esercito con cui fermare l’invasione.

Se si osserva bene il quadro del Bezzuoli, si possono notare in basso a destra alcuni personaggi che guardano con apprensione il re a cavallo mentre passa attraverso una delle porte cittadine: quelli più facilmente riconoscibili sono Machiavelli, Pier Capponi e Savonarola che di lì a breve avranno un ruolo determinante nella cacciata di Piero e della famiglia medicea, nonché nella successiva instaurazione della Repubblica fiorentina.

Con la discesa di Carlo VIII iniziò una guerra durata decenni tra la Francia e la Spagna per il predominio sull’Italia che alla fine del XV secolo, pur vivendo un periodo di massimo splendore artistico e culturale, era ridotta ad un agglomerato di staterelli regionali incapaci di tener testa alle grandi potenze europee. E Machiavelli, che da ambasciatore della Repubblica fiorentina osservò quelle vicende, poi spiegò magistralmente quali erano le cause della crisi italiana nella sua opera più famosa, “Il Principe”, ma anche in un altro testo importantissimo anche se meno conosciuto: “L’arte della guerra”.

I principi italiani – tra i quali egli annoverava anche Girolamo Savonarola che per un breve periodo fu a capo della Repubblica – erano incapaci di opporsi ai sovrani stranieri che imperversavano sulla Penisola per un motivo innanzitutto: mentre le monarchie francese e spagnola avevano eserciti nazionali su cui basavano la loro potenza, gli staterelli italiani assoldavano milizie mercenarie che quindi combattevano per la paga e non garantivano fedeltà ai principi. Per Machiavelli, dunque, la presenza di un esercito stabile, bene addestrato e bene armato, motivato e fedele alla bandiera è “conditio sine qua non” della indipendenza degli Stati. E Machiavelli, nonostante la vulgata corrente, non era un guerrafondaio e neppure un ideologo dell’imperialismo; tanto è vero che il suo modello storico era la Roma repubblicana, dove i soldati erano cittadini volontari, e non la Roma imperiale che conquistò mezzo mondo.

Quanto sia importante per uno Stato avere a disposizione un esercito nazionale molto motivato, soprattutto quando si rende necessario opporsi alle invasioni nemiche, risulta evidente se si esamina la storia passata: per esempio la Francia rivoluzionaria che riuscì a sostenere la guerra mossale dalle potenze reazionarie proprio in virtù dei suoi soldati che combattevano con passione per difendere la Nazione e il tricolore; oppure la guerra d’indipendenza americana, dove l’esercito formato dai patrioti delle colonie e guidato da George Washington sconfisse il potente esercito del Regno Unito.

Se poi veniamo ai nostri giorni, vediamo chiaramente cosa sono capaci di fare i soldati e i volontari ucraini che si oppongono all’invasione dei russi: certamente grazie alle armi fornite dai Paesi della Nato, ma soprattutto grazie alla forte motivazione che li spinge a non arrendersi e a stringersi eroicamente intorno al loro leader, il presidente Zelensky.

Molto diversa è la realtà dell’esercito russo che, soprattutto nelle prime linee in Donbass, è composto principalmente da soldati di origine siberiana o daghestana. A causa di una fortissima crisi demografica che ha investito da anni la Russia, Putin è stato costretto ad arruolare i giovani provenienti dalle province molto povere del Caucaso e dalla Siberia, i quali scelgono la vita militare solo come fonte di guadagno. La motivazione di questi soldati non ha niente a che vedere con quella dei combattenti ucraini. Ecco perché, se crediamo che la lezione di Machiavelli sia ancora attuale e veritiera, Putin è destinato a perdere la guerra.

Roberto Riviello

 

Foto: Uffizi.it

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