Guido Martinelli – Cosimo Acquaviva
Era piccolina, dai modi gentili e quasi aristocratici, teneva un crocchio di capelli bianchi, occhi vivaci e penetranti, e una piccola serie di rughe che le increspavano il viso quando sorrideva. Beveva spesso tè da un piccolo thermos blu che la seguiva sempre in quelle sue ore di insegnamento musicale nella classe in cui affrontavo i miei primi anni cuccioli di scolaretto delle medie. Un bel giorno portò un giradischi antidiluviano dove mise su un trentatré gracchiante da cui uscì una musica mai sentita prima da tutti noi patiti della musica leggera imperante in quegli anni: le Stagioni di Vivaldi (1687-1741). Quelle sonorità nuove mi colpirono duramente la fantasia: chiudevo gli occhi e mi sembrava di essere dentro un sentiero pieno di luce e di verde, di galleggiare in mezzo ad un festival di colori e di tepore. Possibile una simile operazione stando fermi sopra una sedia sgangherata?
Fu così che scoprii la musica classica, uno dei tanti generi musicali, non l’unico, che deliziano la mia permanenza su questo pianetino perso nel nulla dell’universo. Per questo non potevo perdermi di rincontrare quel mio perduto imprinting musicale previsto dall’ennesimo appuntamento del IX Festival Musicale Internazionale “Fanny Mendelssohn”. Parlo dell’esibizione presso l’incantevole sede della Villa Storica “Le Molina” di San Giuliano Terme, del Quartetto Vivaldiano.
Prima di scendere nei dettagli musicali mi preme sottolineare la stupenda location, l’ennesima perla uscita dall’ingegnosa mente della efficiente macchina organizzativa della “Fanny” diretta dall’infaticabile Sandra Landini, che da anni la coinvolge nei suoi progetti.
Questa stupenda dimora storica del ‘600, è un invidiabile location per cerimonie matrimoniali e soggiorni di prestigio grazie ai suoi stupendi locali decorati da tessiture architettoniche trompe-l’oeil ed affreschi interni ed esterni, quest’ultimi della loggia eseguiti da artisti famosi come l’Ademollo. Gestita dall’attuale proprietaria Allegra Pandolfi, si espande per 2.000 kmq, immersa in un parco secolare vasto 10 ettari ricco di sorprese naturali. Nell’impagabile salone della Feste, di fronte ad una platea gremita come in tutte le altre occasioni del festival, si è esibito il Quartetto Vivaldiano composto da Stefano Maffizzoni al flauto, Riccardo Malfatto al violino, Veronica Nava Puerto al violoncello e Lorella Ruffin al clavicembalo.
Si tratta di una formazione tra le migliori e consolidate del panorama musicale concertistico italiano che ha suonato in innumerevoli istituzioni musicali nazionali e internazionali, oltre a registrare per importanti radio nazionali ed estere e a incidere cd per prestigiose case discografiche.
Abbiamo avuto la fortuna di incrociarli alla fine del loro concerto accolto da ripetuti, scroscianti applausi e richieste di bis, e siamo riusciti a scambiare alcune brevi impressioni con la clavicembalista, grazie anche alla consulenza del mio compagno di ”avventura” Cosimo Acquaviva, professore di musica, pianista, buon conoscitore dell’opera del “prete rosso”.
Lorella Ruffin, complimenti per la vostra esibizione. Ci parli, cortesemente, del vostro quartetto: da dove venite?
“Io sono padovana, la violoncellista è venezuelana e vive da Padova da 7 anni dopo aver seguito i suoi studi accademici qui, il nostro flautista abita a Solferino, nel mantovano, dove vive anche il violinista che è genovese di origine”.
Da quanti anni suonate insieme?
“Dal 1996, sono ventisei anni”.
Com’è iniziata la vostra esperienza?
“Noi nasciamo come quartetto Marinetti”.
Il padre del Futurismo?
“Esatto, perché avevamo scelto inizialmente un repertorio contemporaneo del ‘900 al di fuori dei canoni e un po’ innovativo e creativo. Ne è uscito anche un cd, che è stato apprezzato, per divulgare la figura di una persona così eclettica e fuori dai ranghi, un ragazzo grande, impenitente, con una vena vivace, un po’ briosa. Mano a mano, però, abbiamo intrapreso un percorso un po’ a ritroso nel tempo, nell’800, passando alle trascrizioni delle sinfonie di Mozart perché all’epoca non c’erano i cd, i dischi ma queste trascrizioni venivano condivise dalle famiglie. Allora abbiamo vissuto anche questo momento della musica sinfonica “in casa”. Con questo siamo tornati nel ‘700 perché, continuando nel nostro percorso, abbiamo sentito come tutto è singolarmente presente con la sua logica, la sua dinamica, ed è un punto di partenza ancora vivo e vitale. Quindi siamo tornati con l’occhio di persone di adesso per vedere che effetto ci faceva ripescare il ‘700 cercando di guardare la musica vivaldiana anche con l’occhio del suo tempo”.
Insomma, avete condotto e portato a termine un lavoro di ricerca e di recupero filologico a livello esecutivo…
“Abbiamo cercato di sentire questo ritmo, questo tipo di musica che ha sempre dentro la danza. Quindi è associato a una fisicità armoniosa, ritmica, anche nel fluire del tempo e della vita. C’è un’andatura vitale e gioiosa nell’opera di Vivaldi presente anche nei tempi in tonalità minore i quali sono vissuti, seppur introiettati, come un cambio di colore, simile al passaggio del sole e delle nuvole, a differenza della visione ottocentesca ancora di là a venire”.
Utilizzate strumenti d’epoca?
“I violini sono del tardo ‘700. Il violoncello è un pochino più recente anche perché questo strumento è molto più raro trovarlo intatto d’epoca. Il flauto è contemporaneo, però naturalmente le tecniche esecutive derivano da uno studio accurato. Quindi l’emissione, la respirazione e il tipo di vibrato sono calibrati sulle esigenze di stile di quel periodo”.
Dopo questa esperienza con Vivaldi che cosa avete in programma?
“Stiamo lavorando su questa contaminazione di studi europei, ad esempio Telemann, un artista eclettico, per certi versi visionario. E anche su Bach”.
Il nostro incontro termina un po’ all’improvviso per esigenze organizzative e quindi torniamo entrambi con la memoria all’esibizione appena conclusa. I brani di Vivaldi suonati sono stati un Trio in sol minore RV 103 e i concerti in Fa maggiore RV 100, Re minore RV 96, Sol minore RV 103, che sono tutti in tre movimenti in cui si alterna l’allegro, un tempo lento e un allegro finale breve e più vivace del primo. Nonostante l’ensemble fosse composto da soli quattro elementi si è percepita ugualmente la tensione drammatica tra il tutti e il solista. Ultimo brano è stato la “Follia” che conserva ben poco dalla originale danza originaria del ‘500-‘600 portoghese, ma non perde l’ossessiva ripetizione melodica. Si trovano, nel brano, una serie di variazioni che si susseguono sullo stesso basso discendente cosiddetto” basso ostinato”.
Il prossimo appuntamento è per Venerdì 13 Maggio, allorché, presso la Villa di Corliano, l’organizzatrice Sandra Landini si spoglierà delle vesti dell’ottima organizzatrice per indossare quelli di concertista di vaglia quale è, dedicandosi a musiche di Mozart e Chopin insieme al quartetto d’archi Hadimova: quattro musicisti napoletani di provata esperienza. Altra occasione da cogliere al volo!
Guido Martinelli – Cosimo Acquaviva
Foto: Alessio Alessi