– Ilaria Clara Urciuoli –
È ancora oggi l’immagine forse più vera della Maremma quella che ci viene restituita al primo piano del Polo Museale delle Clarisse a Grosseto attraverso “Paesaggi di Toscana: da Fattori al Novecento”, mostra ideata da Carlo Sisi e curata da Emanuele Barletti che porta fino al 4 settembre nella città toscana una selezione di opere appartenenti alla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.
Troviamo trasportata sulle tele di Fattori, Tommasi, Luigi e Francesco Gioli e altri la realtà di un territorio (quello che Dante stringe “tra Cecina e Corneto”) nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, una realtà un po’ “aumentata” (diremmo oggi viziati o istupiditi dall’uso di alcune tecnologie) in quanto arricchita dalla pur discreta presenza di pittori socialmente e politicamente consapevoli. Non sono solo campi quelli che vediamo ma le risorse della futura Italia che allora andava formandosi; non semplici lavoratori quelli ritratti ma cittadini portatori di gioie e disagi cui il nuovo stato dovrà quanto meno tentare di dare risposte e possibilità.
Questi quadri, antesignani dei tanti scatti oggi dedicati al nostro territorio che, come allora, resta magico nella sua schiettezza spesso poetica, conservano una realtà ancora parzialmente viva almeno nei paesaggi che vedono alternarsi campi coltivati e macchia, greggi sparse e fiumi brulicanti di lavoro, alture di montagna e silenti scorci di piccoli borghi medievali quasi assopiti nel caldo del sole catturato dal pittore.
Allora come oggi la Maremma si guarda, scoprendo nella centralità di una natura che diventa riconoscimento culturale, la propria identità profonda e, probabilmente, una visione futura.
Una mostra non coraggiosa forse ma che ha il merito di riportare al pubblico un quadro di forte impatto, “Eroi di Maremma” di Paride Pascucci, richiamo, drammaticamente vero nei dettagli della povertà, alla vita e alla morte degli ultimi.
Al canto dell’identità (e del mito) della Maremma si accostano altre opere che esplorano i diversi paesaggi della Toscana talvolta rimasti intatti, come nel caso di “Piazzetta a Sesto di Moriano (o di Ponte a Moriano)” di Adolfo Tommasi, altre volte persi. In occasione della presentazione della mostra poniamo qualche domanda al curatore, Emanuele Barletti.
I macchiaioli si confermano molto amati e non è difficile in Toscana imbattersi in mostre a loro dedicate, per non parlare poi del Museo Fattori di Livorno. Come mai? Cosa raccontano oggi questi pittori?
“I Macchiaioli fanno parte della cultura artistica toscana ancorché siano stati riscoperti soltanto all’inizio del Novecento e comunque sono intimamente legati alla nostra tradizione per la qualità del colore e perché rappresentano in maniera così visibile la nostra realtà locale. Li amiamo, li apprezziamo e se possibile cerchiamo anche di averne qualcuno in casa e così le loro quotazioni sono molto molto alte. Facendo un parallelo possiamo dire che il francese guarda il suo quadro impressionista come il toscano guarda il suo quadro macchiaiolo”.
È un discorso identitario…
“Sì, esattamente”.
In questa mostra troviamo il quadro di Pascucci, “Eroi di Maremma”, denuncia di quanto costi la vita in alcune realtà più marginali; ancora per qualche giorno nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze possiamo ammirare “Il quarto stato” di Pellizza da Volpedo. La mia domanda allora è sul ruolo, sulla responsabilità degli artisti e di chi lavora nel mondo dell’arte per sensibilizzare sulle tematiche sociali anche oggi.
“Alcune opere che sono esposte qui fanno riferimento a quello che lei sta dicendo, altre che non è stato possibile collocare qui sono presenti nel catalogo. Il tema sociale nella pittura tra Otto e Novecento era importante: penso al lavoro delle donne soprattutto e dei contadini, al disagio sociale derivante dai lavori estremamente logoranti. Qui poi, in Maremma, dovevano combattere anche con la malaria. Certamente la pittura non è mai un fatto astratto ma è sempre legato intimamente a varie problematiche, in particolare la pittura di questo periodo quando gli artisti si soffermano sui temi legati alle attività umane, in particolare a quelle agricole”.
Con la mostra è stato realizzato un catalogo. Che cosa c’è ancora da scoprire dei macchiaioli, quali sono i campi d’indagine?
“Come in molti settori della conoscenza umana non si finisce mai d’imparare. Un dipinto che magari è stato anche più volte pubblicato può essere suscettibile di ulteriori analisi e indagini, anche perché spesso gli storici dell’arte non si soffermano sui soggetti ma parlano dei grandi temi legati ai movimenti, alle correnti senza fere la narrazione del dipinto, senza spiegare che cosa rappresenta un quadro o che cosa l’artista voleva rappresentare. Sembra scontato perché sono opere figurative e invece è importante questa narrazione perché una scena nasconde anche molti dettagli”.
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