– Guido Martinelli –
Nel nostro paese viviamo ignari di calpestare strade e campi ricchi di antiche e stupende tradizioni culturali, veri e proprio scrigni ripieni di gemme, e tra queste la musica rifulge di particolare splendore Ne abbiamo avuto la riprova alcuni giorni fa a Cascina, in Piazza della Chiesa, in occasione di uno degli appuntamenti annuali del Festival Musicastrada che in quell’occasione ha fatto tappa nella cittadina per uno dei momenti della manifestazione
”Metti una sera a Cascina” organizzata dall’Assessorato alla Cultura diretto da Bice Del Giudice.
Mi riferisco al concerto di Alessia Tondo, giovane ma già apprezzata cantante salentina. Alessia Tondo è, infatti, una delle voci più importanti della scena musicale pugliese. Una vera e propria predestinata dato che a sei anni già cantava insieme alla nonna Immacolata nel gruppo salentino “Mara Menhir”. Lanciata da Daniele Durante del “Canzoniere Grecanico Salentino” divenne voce del gruppo reggae “Sud Sound System” come voce nel brano “Le radici ca tieni” che venne trasmessa in tutte le radio nazionali.
Ancor giovane ha partecipato a programmi televisivi importanti e a 13 anni è entrata nell’Orchestra de “La notte della Taranta” in qualità di voce solista annoverando, di seguito, molte interessanti e qualificate esperienze nazionali e internazionali. Nel 2018 ha vinto i “Songlines Music Award”, specie di Oscar della “World Music”, come miglior gruppo di world music al mondo. Nella cittadina ex-capitale del mobilio Alessia ha presentato il suo primo album da solista “Sita”, che significa “melograno”, accompagnandosi da sola con chitarra e altri semplici strumenti a percussione. Con questi strumenti ha supportato la sua stupenda voce così squillante e intonata da reggere stupendamente persino momenti di esibizione a cappella e trascinare il pubblico ammaliato dai suoi modi e dai suoi brani semplici ma coinvolgenti. Alla fine ho approfittato della sua generosità per commentare brevemente la sua bella esibizione.
Allora, Alessia, vorrei intanto chiederle se ha cantato in grecanico o salentino?
“In realtà era dialetto salentino. C’è una zona, una sorta di isola linguistica, nel Salento, in provincia di Lecce, che si chiama ‘Grecia salentina’, ed è una delle poche zone in cui si parla il grecanico, simile al greco antico. Io, però, non provengo da quelle zone”.
Ma il conosciuto “Canzoniere Grecanico Salentino” di cui Lei fa parte propone canzoni in quella lingua?
“Ovviamente, è un gruppo attivo dal 2015 che ripropone questi brani in quella lingua ed è nato tenendo ben presente anche l’impegno politico in quanto i componenti usavano l’arte per promuovere una nuova forma di cultura. Io ne faccio parte e adesso il Canzoniere ha un leader che si chiama Mauro Durante, seconda generazione della stessa famiglia, e tutti noi continuiamo ad essere impegnati nei temi sociali che più ci stanno a cuore. Prendiamo
dalla tradizione rivisitandola”.
Ho notato, ad un certo punto, che mentre cantava le è scappato un “bellino” che è anche tipicamente toscano, come mai?
“Diciamo che è stata una italianizzazione, ma da noi “bello” si dice “beddu”, come in siciliano”.
Il salentino, le cui origini sicuramente si perdono nella notte dei tempi come tutti i dialetti, è parlato poco o tanto?
“Tanto, è molto sentito, ad esempio io lo considero la mia lingua madre. Quindi, per me, era imprescindibile realizzare il mio primo progetto discografico parlando e raccontando di me nella mia lingua madre”.
Immagino, date le sue qualità vocali e musicali e dopo aver letto il suo curriculum, che questa sua attività la tenga impegnata molto?
Parecchio, sono sempre impegnata in molti concerti del tour sia con “Sita” che col “Canzoniere Salentino”, sia in Italia che all’estero. C’è un bellissimo circuito dentro la World Music che è il contesto nel quale noi ci inseriamo”.
Ho letto che avete vinto un premio…
“Il Canzoniere, ormai, con gli anni di esperienza alle spalle, e il lavoro grosso che è stato fatto dietro con anni di studio e di applicazione, sta avendo dei bellissimi riscontri”.
Andiamo allora ad accennare a “Sita”, il melograno, che a me e al pubblico di Cascina stasera, è piaciuto molto…
“Devo ringraziare anche Domenico Coduto, manager di “Ipe Ipe music”, la casa editrice del progetto che ci segue nel tour e che ci ha creduto molto”.
I temi affrontati in “Sita” quali sono?
“Le canzoni sono 8 e io lo considero il mio piccolo rito di guarigione. Nei brani si narrano stati emotivi con l’intento di esorcizzare il “malepensiero” per andare verso la luce. Questi otto brani sono questo racconto emotivo che porta le piccole zone d’ombra verso piccole zone di luce”.
Le zone d’ombra hanno anche a che fare con la pandemia?
“Diciamo che a livello temporale si è collocato lì dato che è stato scritto in quel periodo”
Con riferimenti anche di carattere personale?
“Certo”.
Perché la musica popolare come la vostra è importante?
“Sono convinta che una certa musica come la nostra che ha raccontato il nostro territorio per secoli, per millenni, è qualcosa che scorre nelle nostre vene e che ti porti dietro. Sono dei codici da cui, anche quando si affrontano nuove scritture, non si può prescindere. Quindi, per quanto i miei brani non siano tradizionali ma inediti, so che mi porto dietro tutte le esperienze musicali precedenti della mia terra che ho potuto apprezzare in questi anni e che mi girano nel sangue”.
Sono importanti perché questa musica riporta in auge il passato?
Più che il passato questi miei brani riportano avanti un codice identitario del territorio, e così la musica anche nuova della nostra terra, sia mia che dei miei colleghi, diviene la carta d’identità che non pone confini geografici perché la musica è l‘unico passaporto che non pone confini geografici, geopolitici, e attraverso le sonorità testimonia la provenienza da un determinato territorio e favorisce lo scambio e l’unione dei popoli.
“Sita” risente di alcune influenze musicali?
“Non sono partita con l’intento di confluire con determinati generi musicali. Certamente risente delle influenze avute da tutti i musicisti incontrati durante il mio cammino musicale. Sicuramente c’è l’esperienza e l’amore che mi hanno regalato i colleghi e le colleghe nel corso di tutti questi anni.
Mi sembra anche un messaggio contro la globalizzazione intesa come omologazione culturale a un gusto unico.
Io penso che il pezzo dei Sud Sound System, “Le radici c’a tieni”, che ho cantato poco fa spieghi bene quando dice: “Se tu rispetti le tue radici e sei consapevole del luogo da cui provieni questo non farà in modo che tu ti chiuda al mondo, anzi avrai la capacità di rispettare le radici altrui e di avere la curiosità di conoscerle”. Questo brano è diventato proprio un inno del nostro territorio. La consapevolezza della provenienza, la conoscenza di cosa sono stato e cosa è successo nei luoghi che io calpesto permette di apprezzare il luogo da cui proviene un’altra persona e la sua differente cultura, la sua lingua. il suo cibo. Per questo affermo con convinzione che veramente la musica può unire e non dividere”.
Lei, precisamente, da quale parte del Salento proviene?
“Dalla provincia di Lecce, da Merine, ma ora vivo in un piccolo paesino che si chiama Arnesano: piccole ma importanti realtà attorno Lecce. Nel sud della Puglia”.
Concludendo con una classica domanda: la funzione della musica nel mondo qual è?
“La musica è terapeutica, guarisce le cose”.
Come il melograno…
“Certo, dato che questo frutto è un simbolo di buon augurio, fratellanza, unione”.
Prossime tappe del tour?
“Domani saremo a Catania, poi tornerò nel Salento. In inverno torneremo a Torino e faremo altri giretti in Italia e in Europa”.
Il divertimento è assicurato.
“Certamente. Grazie”.
A lei e a tutti i suoi colleghi, con i complimenti per questo vostro importante percorso musical-culturale che state portando avanti.