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Metti la cera, togli la cera…

- Cultura
27 Dicembre 2017

Antonio Cassisa

Quando presi la patente per guidare l’auto mio padre aveva una Fiat Regata di cui andava molto fiero. Era una bella macchina (almeno così era per noi), spaziosa ed elegante, che mi concedeva senza problemi quando gli chiedevo di prestarmela, almeno fino a quando non mi regalarono la mitica Lancia Y10 con la quale ho scorrazzato ovunque negli anni della gioventù.

Dal momento in cui iniziai a guidare mi toccò automaticamente l’incombenza di occuparmi di tenere pulita la macchina, così ogni tanto portavo a lavarla in un autolavaggio, che a Pisa si fece notare perché puliva le auto senza l’utilizzo delle spazzole meccaniche che, a dire di tutti, graffiavano la carrozzeria. Una squadra di ragazzi, divisi per lato, prima aspiravano, poi insaponavano e risciacquavano ogni angolo dell’auto per poi inserirla sotto due bocchettoni che soffiando forte la asciugavano. Infine l’addetto finale si occupava delle plastiche del cruscotto, il nero alle gomme, una passata ai vetri e, con un piccolo supplemento, un alberello profumato.

Io assistevo incuriosito e attento a tutte le fasi, sempre preoccupato che durante gli spostamenti urtassero la macchina di mio padre e alla fine, risalivo nell’abitacolo profumato e tornavo a casa con prudenza perché all’epoca, dopo il lavaggio, le macchine frenavano poco. Mio padre dalla finestra la esaminava soddisfatto e io, fiero, mi prendevo il merito, anche se il lavoro era stato fatto da altri.

Ogni tanto, volendo strafare, mi proponevo di passare anche la cera sulla macchina. Quella pasta protettiva che prima si metteva e poi si toglieva (modello Karate Kid, “metti la cera, togli la cera”) lasciando la carrozzeria lucida e protetta, dice, dallo smog e dagli agenti atmosferici. Era un lavoro non di poco conto e ogni volta, passato l’entusiasmo dei primi minuti, mi mordevo la lingua per essermi offerto di farlo. Facevo tutto quando sotto casa, per la strada, dopo averla fatta lavare, procedevo al trattamento. Alla fine, stanco e sudato, me la rimiravo e devo dire che l’effetto era davvero sorprendente.

La macchina era un bene di lusso ed era quasi un dovere mantenerla in buono stato, non solo dal punto di vista meccanico, ma anche da quello estetico. Poi negli anni gli autolavaggi iniziarono a spuntare come i funghi, compresi quelli self service, nei quali sì facevi tutto da solo, ma la cera, quella che dico io, ormai era stata superata da prodotti liquidi che la pistola dell’autolavaggio automatico ti spruzza sull’auto lasciando poi scivolare ogni goccia d’acqua.

Non so se è un caso che poi nella mia vita abbia gestito per una decina d’anni un grande autolavaggio all’aeroporto di Pisa e abbia mantenuto la mia famiglia facendo quello che da ragazzo facevo come passatempo sull’auto di mio padre.

Adesso continuo a lavarmi l’auto da solo. Troppi anni l’ho fatto per mestiere ed è difficile che resti soddisfatto da chi lo fa al posto mio e purtroppo troppo spesso c’è chi lavora senza passione. E il risultato si vede. Però mi godo già il momento in cui chiederò ai miei figli se vorranno portare l’auto a lavare e già so che faranno a corsa per farlo. Almeno all’inizio.

Antonio Cassisa

Dal blog “I Penzieri der Cassisa”

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Un fiume unisce la Toscana e rappresenta il modo di vivere forte e intraprendente del suo popolo. L'Arno.it desidera raccontarlo con le sue storie, fatiche, sofferenze, gioie e speranze. Senza dimenticare i molti toscani che vivono lontani, o all'estero, ma hanno sempre nel cuore la loro meravigliosa terra.

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