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Palazzo Pitti ha un gemello digitale

- Cultura
4 Ottobre 2022

Ilaria Clara Urciuoli

La maggior parte dei non addetti ai lavori difficilmente avrà compreso, alla presentazione del gemello digitale di Palazzo Pitti, il vero significato delle tante implicazioni tecniche, eppure ognuno ha colto l’immenso valore del lavoro prodotto dalla collaborazione tra le Gallerie degli Uffizi e il Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’Università di Firenze. Già i numeri del progetto ce lo suggeriscono: 5.137 scansioni, 54.411 immagini di tetti e facciate (realizzate con l’utilizzo di un drone fatto volare in 20 giornate) e 12.512 foto per la documentazione dei 1.533 vani della residenza che in tutto conta ben 165.000 metri quadri di superfici orizzontali e verticali divisi su 12 livelli uniti da 73 vani scala e corredati da 67 spazi aperti.

Certamente numeri da capogiro ma ciò che veramente risulta rilevante sono le molteplici finalità di questo progetto spiegate nella giornata di studi dal titolo “Palazzo Pitti e il suo gemello digitale: i grandi edifici storici nell’era della transizione tecnologica”, durante il quale sono state indagate le criticità rilevate nella gestione dei dati ma anche le potenzialità ancora da esplorare. Grazie alla qualità e alla completezza dei dati raccolti e alla realizzazione a partire da questi di un modello CAD stratificato, gli studiosi potranno usufruire di documentazione precisa inerente a esterni, strutture architettoniche ed interni con anche tutte le opere contenute. Si prospetta dunque come strumento fondamentale sia per la progettazione di interventi da realizzare in futuro, che per il monitoraggio stesso dell’edificio.

Grazie all’assoluta precisione dei rilevamenti infatti sarà possibile osservare i cambiamenti, anche millimetrici, che si realizzeranno alla struttura nel tempo e così facendo programmare operazioni di restauro senza dover attendere modifiche evidenti dell’assetto o addirittura danneggiamenti alla struttura.

L’attenzione al futuro non nasconde anche uno sguardo verso il passato: nell’anno e mezzo necessario alla realizzazione della digitalizzazione si è scientificamente ricostruito, all’interno del neonato gemello, il cosiddetto “Scalone a lumaca” realizzato nel Cinquecento da Bartolomeo Ammannati, una scala con pendenza variabile con numerose diramazioni laterali e ad uso promiscuo (non riservata quindi ai soli padroni di casa ma anche alla servitù), che è andata completamente persa con la realizzazione nel diciannovesimo secolo della scala di Pasquale Poccianti. Questa, di dimensioni ridotte rispetto alla precedente, ha inevitabilmente modificato anche l’assetto di alcune sale della residenza che sono adesso virtualmente visibili. La ricostruzione di tali ambienti all’interno del modello digitale palesa dunque anche la possibilità per studiosi (ma anche per il pubblico di visitatori) di accedere agli ambienti così com’erano in precedenza, ma anche ad ambienti ancora presenti ma non praticabili.

Un lavoro immenso, dunque, che va tutelato attraverso un modello di gestione per l’archiviazione, la conservazione e l’aggiornamento dei dati, sottolinea la coordinatrice del progetto Grazia Tucci, docente di topografia e cartografia dell’Università degli Studi di Firenze; un modello necessario e da utilizzare nel tempo per fare in modo che il progetto oggi realizzato sia effettivamente sfruttato nelle sue enormi potenzialità, affinché sia portato avanti, arricchito e non fatalmente riposto in un “cassetto”.

Il progetto, che va ben oltre la ricostruzione 3D del palazzo ma ha interessato le diverse competenze che ruotano intorno ai beni architettonici, è in linea con quelle che sono le indicazioni dell’Unione Europea di digitalizzare entro il 2030 i beni culturali a rischio e almeno il 50% di monumenti, edifici e siti di interesse storico fisicamente più visitati.

 

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