La Carrozzeria Orfeo, compagnia mantovana collezionatrice di premi e ormai considerata un’eccellenza della drammaturgia nazionale, ha presentato al Verdi pisano l’ultima sua proposta, “Miracoli metropolitani”. La drammaturgia era di Gabriele Di Luca che ha curato pure la regia insieme a Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi. L’opera è frutto di una coproduzione di Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia Romagna “L’Arboreto-Teatro Dimora La Corte Ospitale”.
L’ispirazione per la scrittura dell’opera pare sia venuta al drammaturgo dopo aver letto un fatto di cronaca inquietante accaduto nel 2017 a Londra, dove nelle fogne venne rinvenuto un enorme iceberg di grasso di 130 tonnellate, un oggetto mostruoso composto da tutti gli scarti finiti nello scarico dei wc dei londinesi.
La storia, scritta profeticamente prima del lookdown, si svolge in una cucina sgangherata confinata in uno squallido scantinato, dove dei personaggi bizzarri, battuti dalla vita, si arrabattano a sfangare il lunario mentre fuori le fogne hanno invaso di liquame la città, percorsa pure da violenti furori razzisti verso gli immigrati.
La sensibile compagnia, impegnata in tutte le sue produzioni a narrare le problematiche socio-politiche che infestano adesso il nostro pianeta, vuole sottolineare sia la possibilità che un giorno la natura si possa vendicare degli abusi perpetrati dagli umani, sia che certi veleni dell’animo non sono meno pericolosi di quelli ambientali.
Nella pièce, condotta a ritmi vorticosi e a tratti quasi disturbanti ma in linea con le nevrosi dei personaggi, si muove in primis Plinio (Federico Vanni), chef stellato caduto in disgrazia e alle prese con menu assurdi e alimenti dalla dubbia provenienza cui le angosce che lo divorano alla fine presenteranno il conto. Lo tiranneggia la moglie Clara (Beatrice Moselli), ex lavapiatti con ambizioni da imprenditrice e tipico personaggio dei nostri giorni in quanto social-dipendente ed egocentrica incallita, oltre alla madre Patty (Elsa Bossi) rivoluzionaria d’antan convinta di poter ancora respingere le spinte revansciste reazionarie a suon di molotov e manifestazioni.
Completa il nucleo familiare dello chef il suo stordito figlio Igor (Federico Gatti), molto assorbito dal videogame “Affonda l’immigrato”, in linea con l’aria del tempo. Lo affianca anche Hope (Ambra Chiarello), tuttofare etiope un po’ sotterranea nei suoi fini, che coinvolgerà tutti in una sua maternità dagli esiti impensabili; Mohamed, professore libanese sfruttato come rider e Mosquito (entrambi interpretati da Aleph Viola), carcerato impegnato in lavori socialmente utili ma dominato dal grande desiderio irrealizzato,e forse irrealizzabile, di ottenere un riscatto sociale diventando un attore affermato. Al gruppo si unisce Cesare (Massimiliano Setti), professore aspirante suicida in quanto tormentato dal senso di colpa per un suo dramma familiare.
Insomma, in scena si assiste a un vorticoso giro di battute che strappano sorrisi spesso amari in mezzo a storie e vicende apparentemente surreali ma in realtà molto vicine alla nostra realtà quotidiana che lasciano, però, messaggi di speranza per un riscatto umano e sociale nonostante il lieto fine sia altrove.
Una messa in scena che fila via con una precisione da orologio svizzero preciso da parte di una compagnia molto solida e ben affiatata che lascia molti argomenti su cui riflettere con attenzione, come solo le opere di grande sensibilità e qualità sanno proporre.
Il pubblico presente, con i numerosi applausi finali, credo non si sia discostato molto dalle mie impressioni.
Guido Martinelli
Foto: Fondazione Teatro di Pisa (Facebook)