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Museo Marini: il caduco protagonista dell’opera di Celaya

- Cultura, Tempo libero
17 Aprile 2023

Ilaria Clara Urciuoli

Un forte sentimento di inquietudine giunge in risposta a chi ascolta l’imperativo “Guardare e aspettare”, monito che è anche titolo della mostra ospitata presso il Museo Marino Marini di Firenze che fino a giugno espone alcune delle sculture realizzare da Enrique Martínez Celaya a partire dal 2005. Un sentimento che, malgrado il disagio che lascia, vale la visita. A generarlo l’evidenza dell’irriducibile caducità dell’essere, dell’assurdo del vivere. Un uomo pacatamente seduto su una sedia, mani conserte appoggiate su gambe congiunte, arreso forse, chiuso in un’umiltà forzata, rassegnato. Nera la sedia, nero l’uomo immortalato nel suo essere tizzone spento, reso eterno nel suo consegnarsi al nulla cui non sopravvive il legno bruciato che lo compone. Sulla schiena del pelo (simile a superstiti piume bruciate) lascia sorgere domande che richiamano una vita vissuta, un prima, un sogno, una fede.

L’ambiente suggestivo della cripta della chiesa di San Pancrazio, che del museo è parte integrante, avvolge e fa eco alle opere (poche ma estremamente desiderose di comunicare) dello scultore, pittore e scrittore ma anche – ed è particolare lo stacco – dottore in fisica applicata nato a Cuba, cresciuto tra Spagna e Porto Rico e oggi professore nel sud della California.

Grande protagonista è la vita che viene catturata nel momento della resa: uno skater imprigionato in un tronco di legno, sguardo rivolto verso il basso, labbra serrate, mani in tasca, piedi uniti, ecco che annulla in quella posa ogni idea di ribellione e rinuncia ad ogni slancio verso una possibilità di gioia, di condivisione. Il ventenne Pinocchio sembra arrendersi a vivere il suo dramma in un’assoluta condizione di incomunicabilità, in un’accettazione priva di rivolta.

A questa miseria si aggiungono teste di unicorno tagliate e ammucchiate sul terreno, un vitello pronto – si direbbe – al macello sul cui corpo leggiamo il verso di Eliot “for us there is only the trying“ (per noi c’è solo il tentativo) e infine, icona della mostra, un uomo chiuso in una voliera – tre fori nell’addome sono ripari per uccelli.

Unico spiraglio di speranza una donna che sembra resistere e trasformare l’immenso dolore in un abbraccio. Ma l’uomo in cui lei si nasconde già s’invola in una dimensione altra, in una distanza che non prevede ritorno.

Ilaria Clara Urciuoli

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Giornalista.

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