Ha lasciato senza parole la notizia della tragica morte di Barbara Capovani, la psichiatra aggredita brutalmente da un suo ex paziente fuori dall’ospedale Santa Chiara di Pisa. Una professionista preparata, ben voluta da tutti, una madre di famiglia, la cui vita è stata spezzata per un odio che, forse, non potremo mai comprendere. Ai periti e ai tribunali il compito di decidere se l’assassino era capace di intendere e di volere. Cambia poco. Che finisca la sua vita dietro le sbarre o rinchiuso (per quanto?) in una struttura psichiatrica, nessuno potrà mai rendere ai suoi cari il sorriso di Barbara.
Appena dichiarata la morte cerebrale dal corpo della dottoressa sono stati espiantati gli organi, secondo la volontà espressa a suo tempo dalla Capovani. Un altro segno della sua grande umanità.
Agli amici, all’Università di Pisa, all’ospedale Santa Chiara e al Comune il compito di ricordare Barbara nel migliore dei modi: la sua abnegazione per il lavoro, la sua vicinanza a chi soffriva, la sua estrema cura e attenzione per i malati, il suo impegno per la sanità pubblica, l’amore per la famiglia e i suoi cani. Ci sono e ci saranno molte occasioni per ricordare Barbara come merita. Continuerà a vivere nel ricordo (bellissimo) di tutti quelli che l’hanno conosciuta e apprezzata, e anche da quelli che hanno sentito parlare di lei solo dopo la tragedia.
Alle istituzioni e ai politici il compito di non lasciare sole le persone che lavorano a stretto contatto con il disagio (psichico e non solo). Non è la prima volta che succedono drammi di questo genere, purtroppo. Facciamo il possibile, non solo a parole, per aumentare la sicurezza di chi, giorno dopo giorno, vive a stretto contatto con situazioni di grande rischio. Lo dobbiamo fare, lo possiamo fare. Così come dobbiamo ringraziare, ogni giorno, chi rischia la vita per il proprio lavoro.