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Papini, Prezzolini, Croce: quando le riviste nutrivano il Paese di cultura

- Cultura
3 Luglio 2023

Un’occasione ghiotta per i curiosi dei tempi andati ma anche (e forse ancora di più) il momento per riflettere in termini di distanza e prossimità, di continuità e rotture, dunque di evoluzione tra ciò che fu l’Italia all’inizio del secolo scorso e ciò che oggi è. Così la mostra “Riviste. La cultura in Italia nel primo ‘900“, inaugurata alla presenza del presidente del Senato La Russa e del ministro della Cultura Sangiuliano e visitabile fino al 17 settembre prossimo presso le Gallerie degli Uffizi, ci induce al viaggio in un tempo accelerato, quello del cosiddetto secolo breve che per alcuni versi sembra in questo nuovo raddoppiarsi, per dimostrare poi su altri fronti tutta la sua diversità.

Protagoniste di questa ricca esposizione (composta da oltre 260 oggetti tra periodici, libri, quadri e sculture) sono le riviste edite tra il 1903 e il 1926 che inevitabilmente pongono Firenze in posizione dominante su molte altre città italiane. Si parte dunque con “Leonardo” e “Il Regno”, entrambe maturate nella città del giglio nel momento in cui Benedetto Croce dava vita a Napoli a “La Critica”. L’identità delle riviste è palese e spesso dichiarata: “Un gruppo di giovini, desiderosi di liberazione, vogliosi d’universalità, anelanti ad una superior vita intellettuale si son raccolti a Firenze sotto il simbolico nome augurale di ‘Leonardo‘ per intensificare la propria esistenza, elevare il proprio pensiero, esaltare la propria arte” si legge il 4 gennaio 1903 nel primo numero della rivista fondata dai poco più che ventenni Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini. “Io e gli amici miei fondando questa rivista abbiamo un solo scopo: di essere una voce fra tutti coloro i quali si dolgono e si sdegnano per la viltà della presente ora nazionale” viene indicato invece nel programma del nazionalista “Il Regno” firmato da Enrico Corradini.

Sarà di nuovo Giuseppe Prezzolini, pochi anni dopo, a dare vita e inchiostro a uno dei periodici più importanti dell’epoca, “La Voce”, che vedrà a partire dal 1908 il diffondersi su quelle pagine di un discorso ampio nelle tematiche, pluralista nelle voci e internazionale nel respiro. Proprio a quella rivista si ispireranno in seguito altri periodici d’avanguardia e proprio in quelle pagine si troveranno a scrivere, uniti nella volontà di rinascita, esponenti del fascismo e antifascismo, personalità come quelle di Giovanni Papini e Ardengo Soffici e quelle di Giovanni Amendola e Gaetano Salvemini. Scrive Prezzolini facendo un bilancio nel nono numero de “La Voce” uscito nel 1909: “Il nostro programma se è, da una parte, protesta e critica delle deviazioni, delle meschinerie, delle viltà che guastano molti ingegni […], non è questo soltanto. […] Ci si propone qui di trattare tutte le questioni pratiche che hanno riflessi nel mondo intellettuale e religioso ed artistico; di reagire alla retorica degli italiani obbligandoli a veder da vicino la loro realtà sociale; di educarci a risolvere le piccole questioni e i piccoli problemi, per trovarci più preparati un giorno a quelle grandi; di migliorare il terreno dove deve vivere e fiorire la vita dello spirito”.

Ecco dunque che la mostra – organizzata dalle Gallerie degli Uffizi e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e curata da Giovanna Lambroni, Simona Mammana e Chiara Toti – prende come riferimento le riviste quali contenitori (fragili e bisognosi di cure per la carta economica che veniva usata) dei temi che danno forma al contesto culturale, storico, intellettuale di quegli anni. Sono infatti proprio questi periodici a rappresentare all’inizio del secolo scorso un importante compromesso tra possibilità di analisi e velocità di uscita (troppo limitato lo spazio del quotidiano, troppo lunga la gestazione di un libro.

La mostra continua attraverso l’assiomatica e provocatoria “Lacerba” e le tante altre testate che sono emerse (“Valori plastici”, “La Ronda”, “Energie Nove”, “Ordine Nuovo”, “Rivoluzione liberale”) per concludersi nella radicalizzazione ideologica tra Strapaese (con “Il Selvaggio” e “L’Italiano”) e Stracittà (con “900” e “Solaria”) che ci traghettano in un’atmosfera già fascista.

Osservando quanto è restato (malgrado i danni portati dall’alluvione e ancora in parte visibili nonostante il lavoro dei restauratori) viene da interrogarsi sull’oggi, sulla velocità che impera accanto alla complessità dei fenomeni, sul web dei cui contenuti siamo più o meno tutti creatori, sulla loro autorevolezza calcolata da algoritmi, sul self-publishing. Siamo in grado noi (scrittori e lettori di oggi – includiamo tra questi anche l’intelligenza artificiale?) di non essere da meno quanto a spirito critico e libertà di giudizio? Sapremo prevenire i rischi cui, più o meno consapevolmente, andiamo incontro?

Ilaria Clara Urciuoli

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