– Antonio Cassisa –
Una volta, più di venti anni fa, una mia cara amica romana, in visita a Pisa con la famiglia, rimase estasiata dalla nostra città, e il complimento più bello che ricordo fu quello che invidiava la pace che respirava camminando per le nostre vie ricche di storia. Aggiunse poi, con aria da sogno, che riteneva un privilegio, il nostro, poterla girare tutta facilmente in bicicletta. Lusso che ovviamente non potevano permettersi gli abitanti della capitale. C’era una definizione che tutti i pisani di una volta probabilmente ricorderanno di aver sentito dire: “Pisa è una piccola città a misura d’uomo”, “vicino c’è tutto… il mare, i monti, la campagna”.
Da ragazzini giravamo in bici in lungo e in largo, consumando il fascione della ruota dietro lasciando strisce nere per terra, impennando, andando in due, quello dietro in piedi con le mani sulle spalle di chi pedalava, sulla canna o sul sellino a seconda del modello. E man mano che crescevamo, cambiava con noi il modello della nostra compagna a due ruote. Mio padre ci accompagnava dal mitico Bracaloni e insieme sceglievamo il modello. E così fu dalla prima con le rotelle all’ultima, poco prima di passare all’agognato motorino.
Le ragazze pedalavano sorridenti con i capelli al vento, così le nostre mamme che riempivano il cestino davanti con la spesa fresca del giorno di ritorno da piazza del mercato. Le lasciavamo aperte, al massimo un piccolo lucchetto, a volte con la combinazione, e spesso le bici erano dotate di quel meccanismo ad arco che bloccava la ruota di dietro e che si sbloccava con una ridicola chiavetta. Quello bastava a scoraggiare qualche ladruncolo. E ora?
Comprarsi una bicicletta a Pisa è diventata una cosa che può permettersi solo chi ha un luogo sicuro dove tenerla, un garage, un androne chiuso, o in casa. E a volte non basta. Purtroppo una bici nuova a Pisa sapete come si dice no? Dura come un gatto sull’Aurelia. Non fai in tempo ad uscire dal biciclettaio che come la appoggi, anche legata a triplo giro con un lucchetto che pesa più della bici stessa, te la rubano. Stanne certo. Te la portano via lasciando il posto vuoto precisamente dove l’avevi legata un attimo prima. Se la lasci fuori la notte, ritrovarla al mattino è un terno al lotto. Potremo fare un sondaggio: a quanti di voi hanno rubato la bici a Pisa? O forse meglio : quante bici vi
hanno rubato? Oppure : quanto è il vostro record di durata? Nel possedere una bici nuova intendo… maliziosi.
È una cosa impossibile. Non riesco a rassegnarmi a questa piaga. Avrei una voglia di girare la mia città in bici ma non posso farlo perché andare a comprare una bici, scegliermela come piace a me e ritrovare poi il lucchetto aperto in terra e la bici volata via e rivenduta per due spiccioli buoni per un paio di dosi, no, è proprio una cosa che mi fa andare di fuori. Per non parlare degli accessori, come sellini, fanalini, ruote e giuro, successo a mio figlio, anche il filo del
freno! Portano via tutto.
Tutti sanno dove vengono rivendute, chi le compra, cosa ci fanno. Un giro alla mensa universitaria appena scopri il furto lo consigliano anche le forze dell’ordine, talmente è un classico. Ma si sono evoluti, quando la bici vale, vola immediatamente verso altre città dove frutta di più. Se son belle finiscono in omaggio col fiocchetto in giro per l’italia … “ho fatto un affarone!! … e intanto il giro si alimenta, se sono scassate durano fino al prossimo furto. Ci sono studenti che raccontano goliardicamente di non averne mai comprata una. Rubano qualche scarcassone e se glielo rubano lo rirubano e così via. Mai niente di chissà quale valore, tanto chi vuoi che sporga denuncia per una bici
arrugginita.
Morale della favola : fatevi un giro per Pisa e date un’occhiata alle rastrelliere piene di bici, per le vie o nei luoghi frequentati dagli studenti, gli ultimi fruitori delle due ruote. Avete visto? La più nuova ai nostri tempi la trovavi dal ferrivecchi, o dallo sfattino per intendersi. La più malandata al massimo dal Procelli potevi portarla, dove la schiacciavano insieme al ferro. Ora sembra una sfilonata di bici abbandonate, vecchie, sfatte, rugginose, cigolanti, senza freni. In pratica bici senza valore che “anche se me la rubano m’importa una sega!”.
Secondo me nel recente e doveroso “decreto antidegrado” dovrebbe rientrare anche quella sfilonata di rottami ambulanti allucchettati quasi a presa di culo in giro per Pisa. E poco vale il fatto che sia permesso lasciarle solo negli appositi luoghi predisposti dal Comune. Perché qui si parla di rottami. Che poi siano legati a un palo o correttamente sulla rastrelliera sempre rottami rugginosi sono. E di certo non sono un bel vedere. Chi è stato in certe moderne e civili capitali europee capisce di cosa parlo. In quei luoghi la bici è una cosa sacra, bella, pulita, efficiente e dotata di strade tutte per lei.
Ecco, il giorno che potrò acquistare una bici nuova, girarci sereno in città e lasciarla la sera, chiusa su una rastrelliera, allora potrò dire che Pisa si sta rialzando verso una posa dignitosa. Nel frattempo amici, occhi aperti e spalle al muro.