– Fabrizio Boschi –
Il giornalista pratese Curzio Malaparte era solito dire di Montanelli: “Vuole imitarmi, ma non sarà mai come me: lui è di Fucecchio”. E Indro baldanzoso gli rispondeva: “Eccome, io sono un fiorentino di Fucecchio!”.
Da questo paesino del Valdarno, a mezza strada fra Firenze e Pisa, andava orgoglioso di definirsi un “insuese”, cioè quelli che anche oggi abitano “per in su”, nella parte antica. Il suo stile unico affonda le radici anche lì, nella sua terra, nella sua famiglia medio borghese: padre Sestilio era preside e mamma Maddalena figlia benestante di commercianti. Apparteneva alla famiglia dei Doddoli “che era una delle più cospicue, forse la più cospicua, delle casate insuesi. La sua forza veniva più dai quattrini che dalla tradizione”. Il loro palazzo era il più fastoso di tutta Fucecchio.
Il matrimonio tra sua madre insuese e suo padre ingiuese fu uno dei più grossi affari della Fucecchio d’anteguerra. Il babbo, Sestilio, era ingiuese “e di famiglia resa cospicua da un rivoluzionario del ’48 cui i fucecchiesi hanno dedicato pure un monumento nella piazza principale”. Ma i Montanelli cui suo padre apparteneva erano di un altro ramo, il ramo povero. Sestilio, il più promettente dei tre fratelli, studiava bene e con ottimi risultati e fu questo che gli permise di salire a palazzo Doddoli per dare ripetizioni ai figli della famiglia e quindi di conoscere Maddalena. Si sposarono contro i voleri della casata ricca. Nessuno si riprometteva nulla di buono da un “matrimonio d’amore”. Sestilio si portò la moglie per in giù, in una villetta con giardino, ma una volta rimasta incinta l’acida suocera Rosmunda Doddoli, contraria a quella unione, “calò dal poggio per riprendersi la figliola affinché l’erede nascesse per in su”. Infatti il piccolo nacque per in su il 22 aprile 1909.
Ma poco dopo Sestilio venne a riprendersi la consorte e il figlioletto e per vendicarsi della suocera si mise alla ricerca di un nome che non fosse né della famiglia né del calendario. Trovandolo.
Ecco come nasce quest’uomo che ha percorso quasi per intero il suo secolo. Soltanto un giornalista, un testimone del mio tempo, morto con un sogno ricorrente nella testa: il Giardino dei ciliegi. “Ci sono io, salgo a piedi la collina che conduce alla villa, in mezzo al bosco. Da bambino il bosco, tra i due paduli di Fucecchio e Bientina, era il mio regno. Arrivo fino al cancello della villa, ormai è un giardino dei ciliegi. Entro, suono il campanello e mi viene ad aprire il me stesso che è rimasto lì. Tale e quale a me, solo più vecchio. Mi dice “Cosa vuoi?”. E io dico: “Vorrei entrare”. Dice che non ne ho il diritto. “Tu te ne sei andato, hai avuto una bella vita, successi, avventure, donne. Qui sono rimasto io. Vedi le mie rughe? Sono le stesse della villa. Sono rimasto solo a difendere questo giardino dei ciliegi. Questo è il mio mondo, tu non ci puoi entrare, non appartieni più a questo mondo”.
Rimpianti a parte, per fortuna Montanelli non è rimasto in quella villa, altrimenti chissà quante cose ci saremmo persi. Indro si considerava un uomo di mondo, ma non ha mai rinnegato le proprie origini. Chi gli attributi li ha come li aveva lui, non tradisce mai le proprie origini. Montanelli era, come lui stesso amava definirsi, un fiorentino di Fucecchio. Diceva di sentirsi contemporaneamente di Fucecchio e di Firenze per due ragioni: la prima si fondava su quelle poche decine di metri che invece di farlo nascere della Toscana del Principato di Lucca (“I toscanucci”) l’avevano fatto venire al mondo nella Toscana del Granducato (“I toscanacci“). La seconda deriva dalla sua somiglianza con il volto di Abacuc, uno dei profeti scolpiti da Donatello, che con schietto orgoglio conservava in bella mostra riprodotta nel suo studio.
Montanelli lasciò il suo paese nell’adolescenza per tornarvi saltuariamente, coltivando il mito delle “Vedute“, la villa dei Bassi situata sulle colline boscose delle Cerbaie. Qui aveva passato i più bei momenti dell’infanzia accanto a Emilio e Ida Bassi, spesso rievocati come “nonni”, ma in realtà amici di famiglia che Sestilio e Maddalena frequentavano portando con sé il piccolo Indro.
Il ricordo dei luoghi dell’infanzia rimase vivo e si fece anzi più acuto negli ultimi anni, quando più spesso tornava a Fucecchio, calorosamente accolto dai pochi vecchi amici e dai molti nuovi ammiratori.
“Quel che sono diventato lo devo a Milano, ma quel che sono appartiene a Fucecchio“, amava dire. Le possibilità offertegli dalla città lombarda, in effetti, non gli sarebbero mai state riservate dai toscani, assai meno generosi, pure oggi, nell’assecondare le qualità dei propri figli. E anche le incompatibilità politiche, specialmente tra gli anni Cinquanta e Settanta, mantennero viva una certa diffidenza tra lo scrittore e i suoi concittadini, poi cancellata dall’accoglienza che il paese natale gli tributò nel 1987, quando fu costituita, per sua esplicita volontà, la Fondazione Montanelli-Bassi, o nel 1999, in occasione dei festeggiamenti del suo novantesimo compleanno. La Fondazione ha voluto associare al proprio nome quello di Emilio Bassi, già sindaco di Fucecchio nel primo Novecento, proprio perché così tanto legato a Indro che lui considerava come un nonno.
Oggi la Fondazione ha lo scopo di conservare, valorizzare ed estendere il patrimonio della biblioteca montanelliana di cui è dotata, con tutti gli scritti e gli articoli di Montanelli, promuovere studi e tesi di laurea, premi di scrittura e pubblicazioni sulla sua storia, l’arte e le tradizioni di Fucecchio, bandire borse di studio, intraprendere iniziative per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed ambientale di Fucecchio e del suo territorio (Padule di Fucecchio e area delle Cerbaie). Si è inoltre impegnata nel restauro di edifici storici e di opere d’arte, sia mediante contributi finanziari diretti, sia collaborando con soggetti privati e con pubbliche istituzioni
Dal 1993 ha sede nell’antico Palazzo Della Volta che ha contribuito a restaurare integrando finanziariamente il lavoro svolto dai volontari della Contrada Sant’Andrea. Nell’auditorium si svolgono mostre e incontri a carattere culturale. Alcuni ambienti ospitano dipinti e disegni di Arturo Checchi (1886-1972) e in altri sono state riprodotte le stanze con gli stessi identici arredi dei due studi che il giornalista aveva a Milano e a Roma e che sono stati trasferiti a Fucecchio dopo la sua morte.
“La mia eredità? Sono io!“. Era questo Montanelli, tutto racchiuso in questa frase. “Io appartengo solo a me stesso”, diceva questo anarchico conservatore di Fucecchio, che rifuggiva qualsiasi tipo di etichetta, soprattutto quando gli veniva imposta dai poteri forti. Come quella di senatore a vita, ad esempio. Oggi, invece, tutti si occupano di lui. “Non beatificatemi troppo – diceva -. Anche perché non riuscireste a pareggiare il conto”. Non amava che si parlasse di lui quando era in vita però diceva sempre “quando sarò morto fate quello che vi pare”. Per questo anche la Fondazione guidata da Alberto Malvolti (il padre Piero a cui oggi è intitolato un premio di scrittura era tra i più cari amici di Montanelli) oggi si occupa di lui.
“Noi viviamo in un paese di contemporanei – amava dire riprendendo una frase di Ojetti -, senza antenati né posteri, perché senza memoria”. La provocazione era il lato del suo carattere più stimolante e divertente. Ma anche il più odiato dai delatori. Lui però se ne fregava e a rischio di passare da presuntuoso, andava dritto per la sua strada, scrivendo come solo lui sapeva fare, tutto quello che gli passava per la mente. Per questo oggi ci manca tanto. Più passa il tempo, più si percepisce il grande vuoto lasciato dal più geniale e corrosivo giornalista italiano del Novecento.
Sono passati 18 anni dalla sua scomparsa, 110 anni dalla sua nascita. È morto in una calda domenica pomeriggio del 2001, due mesi prima della catastrofe delle Torri Gemelle, quando in Italia non si parlava altro che del G8 di Genova e degli scontri fra black bloc e polizia. Il 22 luglio dall’ospedale dove era ricoverato, la clinica “La Madonnina” di Milano, trovò il tempo di congedarsi dai suoi lettori scrivendo lui stesso il necrologio. I lettori, gli unici che non lo hanno mai tradito (neppure oggi) e gli unici dei quali lui non si è mai dimenticato.
Fabrizio Boschi
Foto: Wikipedia