Il suo cuore cessò di battere nella notte tra il e e il 4 marzo 2018, poche ore prima della partita della sua Fiorentina a Udine. Un dolore fortissimo scosse tutto il mondo del calcio per la morte del capitano viola Davide Astori. La procura di Firenze ha chiuso le indagini: sono indagati per omicidio colposo i medici Francesco Stagno, come direttore sanitario dell’Istituto di medicina dello sport di Cagliari, e Giorgio Galanti, come direttore sanitario del Centro di riferimento di medicina dello sport dell’Aouc di Firenze Careggi.
Secondo le indagini i due medici sarebbero responsabili perché, per un concorso di cause tra loro indipendenti, avrebbero provocato il decesso di Astori. Ai due medici gli inquirenti imputano di aver violato i “protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico”. La morte del calciatore sarebbe stata causata da una “cardiomiopatia aritmogena diventricolare” tale da determinare il decesso improvviso del capitano viola.
Nei confronti di Francesco Stagno viene contestato di aver rilasciato a Davide Astori nel luglio 2014 un certificato di idoneità alla pratica sportiva agonistica in cui si attesta la mancanza di controindicazioni nonostante che le indagini abbiano ricostruito che nella prova da sforzo sostenuta dal calciatore si fossero verificate due extrasistoli ventricolari isolate (non segnalate nel referto). Nei confronti invece di Giorgio Galanti la procura di Firenze contesta il rilascio ad
Astori di due diversi certificati di idoneità alla pratica del calcio agonistico nel luglio 2016 e nel luglio 2017, referti rilasciati nonostante che secondo gli inquirenti fossero emerse nelle rispettive prove da sforzo aritmie cardiache.
Stagno e Galanti inoltre sono accusati di aver omesso di sottoporre Astori ad altri accertamenti diagnostici più approfonditi sull’origine e sulle cause delle extrasistole, al fine di escludere una “cardiopatia organica” o una “sindrome aritmogena”.
Secondo la procura di Firenze se la patologia fosse stata diagnosticata mentre si trovava in una fase iniziale ciò avrebbe consentito di interrompere l’attività agonistica del giocatore e, tramite la prescrizione di farmaci, di rallentare la malattia e prevenire l’insorgenza di “aritmie ventricolari maligne”.