Dopo sette anni e mezzo dalla misteriosa sparizione di Roberta Ragusa, è arrivato il giorno della verità per Antonio Logli. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a venti anni di carcere per il marito, per l’omicidio volontario della donna e la distruzione del cadavere. Roberta sparì di casa la notte fra il 13 e il 14 gennaio 2012. Le ricerche, andate avanti per mesi e mesi, non diedero alcun frutto. Le indagini quasi subito si concentrarono sul marito, sul cui conto emerse che aveva un’amante, Sara Calzolaio, la donna che aveva fatto da babysitter ai due figli della coppia, collaborando poi nell’autoscuola gestita dai Logli.
Secondo la procura di Pisa, che lo iscrive nel registro degli indagati il 2 marzo 2012, Logli avrebbe ucciso la moglie al culmine di una lite, dopo che lei aveva scoperto la relazione clandestina del marito, scoprendo che la donna era proprio la Calzolaio. Roberta esce di casa in pigiama e il marito la raggiunge dopo poco, in una strada vicina, a Gello di San Giuliano Terme (Pisa). Dopo averla aggredita e uccisa, ne occulta il cadavere. E il mattino seguente denuncia la scomparsa della moglie.
Logli ha sempre contestato questa versione affermando di essere andato a dormire intorno a mezzanotte e di essersi accorto solo al mattino, al risveglio, dell’assenza della moglie. A far pendere l’ago della bilancia, però, ci sono le versioni di due testimoni e una telefonata notturna. Ma andiamo con ordine. Due testimoni, Loris Gozi e Silvana Piampiani, affermano di aver visto Logli girare fuori casa, quella notte, e di averlo sentito litigare con una donna. La telefonata, che risulta agli inquirenti, è quella tra Logli e Sara Calzolaio.
Dopo tre anni di indagine nel 2015 il gup proscioglie Logli (“non luogo a procedere”) ma la Cassazione annulla la sentenza e ordina un nuovo processo. Il 21 dicembre 2016 arriva la condanna di primo grado a venti anni. L’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore di Pisa, Aldo Mantovani, era stata di 30 anni, ridotti a 20 per la scelta di ricorrere al rito abbreviato. La difesa aveva chiesto l’assoluzione per “assoluta mancanza di prove”. Logli non va in carcere, il tribunale non ravvisa che vi sia pericolo di fuga o la possibilità reiterare il reato. La vicenda giudiziaria va avanti. La Corte d’appello di Firenze il 15 maggio 2018 conferma la sentenza: venti anni di carcere. Viene respinta, però, la richiesta di arresto immediato fatta dal sostituto procuratore generale, Filippo Di Benedetto. Come già deciso dal giudice che lo ha condannato in primo grado, Logli deve attenersi solo alle seguenti misure restrittive: obbligo di non uscire dai comuni di Pisa e San Giuliano Terme e divieto di uscire di casa dalle ore 21.00 alle 6.00.
La versione della pubblica accusa regge per ben due volte. L’omicidio, probabilmente d’impeto e non premeditato, sarebbe maturato dopo che la Ragusa aveva scoperto la storia del marito con la Calzolaio. Ragusa sospettava che il marito avesse una relazione extraconiugale ma non immaginava che l’amante fosse la donna che aveva cresciuto i suoi figli. Da lì, forse, la lite violenta tra i due coniugi. Per la procura vi sarebbe anche un movente economico: Logli, infatti, avrebbe voluto evitare un possibile divorzio, poiché temeva un forte danno economico poiché la moglie era proprietaria dell’Autoscuola (intestata, ma con quote minori, anche ad Antonio Logli e a suo padre).
Logli ha sempre proclamato la propria innocenza. A difenderlo, oltre alla Calzolaio, che un anno dopo la scomparsa di Roberta si è trasferita nella casa, i due figli, Daniele (22 anni) e Alessia (18). Sono convinti che la mamma sia stata sequestrata da qualcuno e non abbia più potuto far ritorno a casa. Tanta tristezza nei loro cuori e moltissimi dubbi. Hanno una sola certezza: non è stato il loro babbo a ucciderla.
Ricerche durate più di un anno
Il corpo di Roberta è stata cercato in lungo e largo, per mesi e mesi. Non solo nelle vicinanze del luogo dove abitava, a Gello di San Giuliano Terme, ma anche in altre zone, tenendo conto delle segnalazioni ricevute e del lavoro degli investigatori. Tra i luoghi setacciati il parco di San Rossore, perlustrando le spiagge, la pineta, e i canali. Due laghetti per la pesca, vicino a Gello, il lago di Massaciuccoli, i boschi e le grotte sui monti pisani, proprio sopra a San Giuliano Terme. Setacciata anche una pineta a San Piero a Grado, non lontano dal litorale pisano. Ovviamente furono controllate anche la casa dei Logli, un capannone usato come magazzino e altre proprietà di pertinenza della famiglia di Antonio Logli. Nessun riscontro neanche dalle indagini scientifiche dei Ris effettuate sulle auto di famiglia.
Non sono un giudice quindi non parlo a proposito, però ho buona memoria e ciò che ricordo dei primi giorni d’indagine di questo omicidio è, che il giorno seguente della sparizione della donna, il marito disse d’essere andato al Elba dove hanno una casa per vacanze, pensando si fosse rifugiata colà. Stranamente questo fatto non è stato più nominato e preso in considerazione nelle indagini che seguirono e meno la macchina della ditta messa in sosta e meno interrogati gli addetti alla pulizia di essa che si disse avessero trovato usa e getta colorati. L’elba è un isola le cui correnti sono come quelle nelle quali si pensa sparirono le gemelline svizzere, già mare profondo (?) strane indagini e strana condanna quando si pensa a un colpevole e gli si danno i domiciliari di notte: perché di giorno non si fugge o si reitira un omicidio?
E’ evidente che io non so nulla di come siano andate le cose. Tuttavia neppure dopo la sentenza, quale essa sia, penso che la “Verità”, quella assoluta, conosciuta soltanto al responsabile del delitto, e a Dio, in assenza di una prova provata, e non soltanto supposta, possa essere conosciuta. Questo perché, se ho ben compreso l’essenza dell’articolo, di prove concrete non ve ne sono. Per ruoli, l’imputato è colpevole per la Pubblica Accusa, e innocente per i Difensori. Non invidio il Giudice, che deve esprimere un verdetto “oltre ogni ragionevole dubbio”. Quanti sono i casi, purtroppo, in cui va (o meglio, dovrebbe) essere applicata la norma “in dubio, pro Reo”?