Si è spento, all’età di 93, lo scrittore Andrea Camilleri, famoso in tutto il mondo per aver scritto “Il commissario Montalbano”. Da parecchi anni Camilleri aveva una casa a Bagnolo di Santa Fiora, paesino posto a 800 metri sul livello del mare del comune di Santa Fiora, sull’Amiata, in provincia di Grosseto.
Qualche anno fa Cammilleri raccontò che il primo ricordo che aveva di quei posti era legato a una poesia di Montale che lui amava molto, “Notizie dall’Amiata”. Poi ebbe modo di visitare il paese, di cui parlava il pittore David Grazioso, e rimase a dir poco incantato dal paesaggio. Quando gli capitò un’occasione acquistò una piccola casa a Bagnolo, e cominciò ad apprezzare sempre più i paesaggi ma anche i silenzi e “la qualità schiva ma amichevole dei suoi abitanti”.
Lo scrittore raccontò che, rispetto a una volta, quella parte di Toscana che lui ben conosceva era un po’ cambiata, anche se non troppo. Soprattutto per le coltivazioni. Ma Cammilleri apprezzava che fosse mutata poco “rispetto al degrado ambientale che ha subito la mia Sicilia”. Il cambiamento che più lo colpiva, di Bagnolo, era sugli abitanti. Un tempo erano circa 1300, tutti toscani. Ora, invece, dopo 50 anni, erano appena trecento, sostituiti in gran parte da immigrati. Con un profondo mutamento dei terreni coltivati.
Nel 2014 Camilleri era diventato cittadino onorario di Santa Fiora e due anni fa gli avevano intitolato il teatro. Il sindaco, Federico Balocchi, ha proclamato il lutto cittadino: “Sono contento di averti visto emozionato quando ti ho consegnato la cittadinanza onoraria di Santa Fiora e quando il nostro teatro ha preso il tuo nome. Ho avuto un privilegio, ho conosciuto un Camilleri speciale, vicino di casa. Ci legava un affetto in comune per l’Amiata e Santa Fiora e condividere qualcosa di così grande rendeva il rapporto più intimo. Camilleri era generoso, nel cuore appassionato. Lo dimostrava”.
Notizie dell’Amiata
Il fuoco d’artifizio del maltempo
sarà murmure d’arnie a tarda sera.
La stanza ha travature
tarlate ed un sentore di meloni
penetra dall’assito. Le fumate
morbide che risalgono la valle
d’elfi e di funghi fino al cono diafano
della cima m’intorbidano i vetri,
e ti scrivo da qui, da questo tavolo
remoto, dalla cellula di miele
di una sfera lanciata nello spazio
e le gabbie coperte, il focolare
dove i marroni esplodono, le vene
di salnitro e di muffa sono il quadro
dove tra poco romperai. La vita
che t’affabula è ancora troppo breve
se ti contiene! Schiude la tua icona
il fondo luminoso. Fuori piove.
***
E tu seguissi le fragili architetture
annerite dal tempo e dal carbone,
i cortili quadrati che hanno nel mezzo
il pozzo profondissimo; tu seguissi
il volo infagottato degli uccelli
notturni e in fondo al borro l’allucciolio
della Galassia, la fascia d’ogni tormento.
Ma il passo che risuona a lungo nell’oscuro
è di chi va solitario e altro non vede
che questo cadere di archi, di ombre e di pieghe.
Le stelle hanno trapunti troppo sottili,
l’occhio del campanile è fermo sulle due ore,
i rampicanti anch’essi sono un’ascesa
di tenebre ed il loro profumo duole amaro.
Ritorna domani più freddo, vento del nord,
spezza le antiche mani dell’arenaria,
sconvolgi i libri d’ore nei solai,
e tutto sia lente tranquilla, dominio, prigione
del senso che non dispera! Ritorna più forte
vento di settentrione che rendi care
le catene e suggelli le spore del possibile!
Son troppo strette le strade, gli asini neri
che zoccolano in fila danno scintille,
dal picco nascosto rispondono vampate di magnesio.
Oh il gocciolìo che scende a rilento
dalle casipole buie, il tempo fatto acqua,
il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento,
il vento che tarda, la morte, la morte che vive!
***
Questa rissa cristiana che non ha
se non parole d’ombra e di lamento
che ti porta di me? Meno di quanto
t’ha rapito la gora che s’interra
dolce nella sua chiusa di cemento.
Una ruota di mola, un vecchio tronco,
confini ultimi al mondo. Si disfà
un cumulo di strame: e tarli usciti
a unire la mia veglia al tuo profondo
sonno che li riceve, i porcospini
s’abbeverano ad un filo di pietà.
Eugenio Montale