– Andrea Cosimi –
La Casa Editrice dell’Ateneo Pisano anche questo anno partecipa al Pisa Book Festival e lo fa organizzando la presentazione di due libri che, già dal titolo, stimolano alla lettura. Entrambi gli eventi vedranno come moderatore la dottoressa Claudia Napolitano, amministratore unico della Pisa University Press srl.
Sabato 9 novembre alle 19, nell’Arena Pacinotti, il professor Alessandro Volpi, del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, presenterà il suo ultimo saggio “Parole ribelli. Storia di una frattura generazionale”.
Domenica 10 novembre alle 19, nella Sala Rossa, il professor Paolo Macchia e la dottoressa Maria Elisa Nannizzi parleranno del loro libro “Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio”, insieme all’artista tatuatore Andrea Affermi.
Parole ribelli. Storia di una frattura generazionale (1950-1960)
Con gli interventi di Paolo Carusi dell’Università Roma Tre, Gabriele Tomei e Alessandro Volpi dell’Università di Pisa, il saggio che mette al centro i giovani italiani degli anni Cinquanta descrivendo la loro “ribellione senza causa” (ispirata soprattutto ai film e alla musica americana). I simboli di questa ribellione furono i grandi attori americani del disagio giovanile – Brando, Dean, accompagnati dal mito di Presley – tutti vissuti dai giovani italiani in un’ottica di immedesimazione senza una reale conoscenza dei fenomeni culturali che li avevano generati. Una ribellione che, secondo la tesi di Volpi, si manifestò soprattutto nelle produzioni di largo consumo, quasi si trattasse di un fenomeno interamente commerciale. Nacquero così la musica per i giovani, la stampa per i giovani, la letteratura per i giovani, i fumetti per i giovani, l’arte per i giovani, che si caratterizzarono proprio per i tratti ribelli fini a se stessi. “Da questo punto di vista – secondo Volpi – i ribelli degli anni Cinquanta nel loro edonismo, nella loro protesta senza giusta causa, nel loro consumismo esasperato e persino nella loro violenza senza senso non anticipavano in alcun modo le rivolte degli anni Sessanta, in cui la prospettiva comunitaria era largamente prevalente su qualsiasi istanza individuale e, soprattutto, non avevano nulla a che fare con la ventata ideologica sessantotto, di cui certo non costituirono in alcun modo la preparazione”.
Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio
Il libro tratta la storia millenaria dei tatuaggi, dalla preistoria sino ad oggi, dandone una interessante lettura geografico-culturale. Emblema di ribellione, di appartenenza, marchio di infamia, segno magico ma anche accessorio di moda e simbolo di libertà. “La pelle parla – racconta Paolo Macchia – quello che abbiamo cercato di capire è come il tatuaggio, nelle varie epoche storiche, sia stato usato per esprimere idee, concetti e opinioni, in altre parole vogliamo far vedere come questa forma di comunicazione sia cambiata nel tempo assumendo sempre nuovi significati a seconda delle diverse culture”.
Il volume traccia una geografia culturale dei tatuaggi in Occidente con un focus sui tatuaggi tribali dei Maori della Nuova Zelanda. “Se nei decenni scorsi il tatuaggio esprimeva tendenze e cambiamenti sociali, oggi sembra caratterizzarsi soprattutto a livello individuale, come un bene di mercato, soggetto a mode e continui cambiamenti del gusto – afferma Paolo Macchia – sebbene molti definiscano questa come una fase di banalizzazione e di svuotamento essa è quella che ha dato definitiva affermazione globale al tatuaggio. Anche oggi la pelle è uno strumento di comunicazione, ma ciò che è diverso è il fatto che non parla più ad un gruppo, ma al singolo e del singolo e dunque, dato che non esiste più un linguaggio codificato, per sapere cosa significa un tatuaggio oggi occorre chiederlo a chi lo indossa”.