– Guido Martinelli –
Siamo arrivati a 80 anni dalla fine del secondo conflitto bellico mondiale, la più tragica esperienza bellica che il genere umano ricordi, con circa 70 milioni di morti complessivi di cui 28 milioni russi e circa 6 milioni ebrei, per non parlare dei feriti e mutilati, dei danni e delle rovine. Anche prima dei due conflitti mondiali del secolo scorso il nostro continente è stato sempre teatro di lunghe e tragiche guerre. Tutti i popoli che hanno vissuto da sempre in questo territorio grande più 10 milioni di chilometri quadrati se le sono sempre date di santa ragione per qualsiasi motivo.
Per fortuna, dopo tutte le tragedie cessate nella primavera del 1945 abbiamo, come suol dirsi, “messo la testa un po’ a posto”, e grazie a governi democratici, per la prima volta nella nostra storia continentale abbiamo vissuto questi 80, lunghi anni, non solo in pace ma addirittura quasi come un unico, immenso popolo. Commettendo errori e magari continuando a punzecchiarci e bisticciare a parole, ma senza farci del male, a parte la brutta, tragica e circoscritta esperienza bellica successiva alla dissoluzione dello stat jugoslavo negli anni novanta del secolo scorso. Ma la recente invasione russa dell’Ucraina ha permesso la rinascita di fantasmi bellici e fatto riemergere la voglia di armarsi e di mostrare i muscoli, anche solo con la scusa di difendersi da vicini aggressivi.
Per recuperare la memoria di quegli anni e insegnare alle menti più giovani cosa veramente accadde allora nella speranza di prevenire tragiche ripetizioni può venire in soccorso la mostra fotografica “Dalla Guerra alla liberazione. Pisa 1940-45” allestita al Palazzo Blu di Pisa fino all’11 maggio. La mostra si divide in due parti. La prima, al pianterreno, illustra a grandi linee, anche con l’ausilio di ottime carte sinottiche, lo svolgimento della guerra nel suo complesso. Al quarto piano, invece, si trova la seconda interamente dedicata a Pisa, dal 10 giugno 1940, inizio della sciagurato intervento dell’Italia fascista nel conflitto bellico, fino alla liberazione anglo-americana. Il percorso fotografico si snoda all’interno di 4 sezioni: la guerra dell’Asse, La guerra in città, Resistenza e repressione, Liberazione.

In questo quadro colpiscono il terribile bombardamento pisano del 31 agosto 1943, le innumerevoli e crudeli stragi nazifasciste, e l’apporto delle truppe partigiane di ogni schieramento politico che hanno avuto un ruolo importante nel porre fine alle tribolazioni oltre a salvare la faccia del nostro Paese di fronte alla barbarie totalitaria.

La mostra è stata curata dal professor Gianluca Fulvetti, del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, e le immagini sono state reperite un po’ ovunque. Sono molto belle quelle realizzate dall’esercito americano e conservate nel National Archives di College Park, nel Maryland.
La mostra è molto importante e toccante dato che le immagini permettono di valutare la misura e al quantità del dolore suscitato dall’ultimo conflitto bellico passato dalle nostre parti ai nostri conterranei in quei tempi bui. Si resta basiti tutte le volte che ci troviamo di fronte a simili materiali.

Soprattutto non si comprende perché, ai giorni nostri, molti si ostinino a rimpiangere e auspicare quei regimi totalitari che tolgono la libertà individuale e recano solo rovina e morte. Senza libertà e pace non c’è vita. È un concetto difficile da afferrare e fare proprio? Intanto: W la Liberazione, W il 25 Aprile. Bella ciao, ciao, ciao! E un grande ringraziamento a chi è morto per la libertà di tutti.
Guido Martinelli


